ACCETTAZIONE E RINUNCIA ALL’EREDITÀ: LA GUIDA COMPLETA

L'ACCETTAZIONE DELL'EREDITÀ
Ai sensi dell’art. 459 c.c., l’eredità si acquista con un atto di accettazione i cui effetti retroagiscono al momento dell’apertura della successione e, dunque, alla morte del de cuius. La Cassazione ha affermato che «l’accettazione si considera avvenuta nel medesimo istante della delazione, sì che il tempo trascorso è tamquam non esset» (Cass. n. 15397/2000).
L’accettazione è una manifestazione di volontà volta al conseguimento della qualità di erede ed è richiesta al solo successore universale, anche se legittimario (Cass. n. 2408/1972), mentre il legatario non ha alcun onere per l’acquisto del legato.
Si tratta di un atto irrevocabile e non più rinunciabile dopo il suo compimento; tuttavia, dopo la rinuncia ex art. 525 c.c., è ancora possibile l’accettazione.
Tra l’apertura della successione e l’accettazione, salvo la nomina di un curatore, il chiamato all’eredità può esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, compiere atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea e chiedere l’autorizzazione a vendere beni non conservabili o di onerosa manutenzione.
MODALITÀ DI ACCETTAZIONE
L'accettazione dell'eredità può avvenire secondo tre modalità:
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Espressa: Si ha accettazione espressa quando il chiamato dichiara di volere accettare l’eredità o assume la qualità di erede in un atto pubblico o in una scrittura privata. Non sono ammessi termini, condizioni o accettazioni parziali, pena la nullità della dichiarazione.
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Tacita: L’accettazione è tacita quando il chiamato compie un atto che presuppone la volontà di accettare e che non avrebbe diritto di compiere se non nella qualità di erede. La dichiarazione di successione, essendo un atto fiscale, non costituisce prova dell’accettazione tacita, che invece si verifica con atti che dimostrano la volontà di accettare. In presenza di una prova di accettazione tacita, la denuncia di successione assume valore indiziario (Trib. Spoleto, 09/09/2021, n.535; Cass., 16/01/2017, n. 868).
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Presunta: Si ha accettazione presunta quando il chiamato compie atti ai quali l’ordinamento riconnette automaticamente l’acquisto dell’eredità.
PRESCRIZIONE E DECADENZA
Il diritto di accettare l’eredità si prescrive in dieci anni dall’apertura della successione (art. 480 c.c.) o dal giorno in cui si verifica la condizione cui è sottoposta l’istituzione di erede.
Essendo un termine di prescrizione e non di decadenza, la Suprema Corte ha chiarito che il chiamato può accettare l’eredità anche dopo il decorso del termine decennale, purché nessuno degli interessati eccepisca la prescrizione (Cass. II, n. 12646/2020).
L’autorità giudiziaria può fissare, su richiesta di chiunque vi abbia interesse, un termine entro il quale il chiamato deve dichiarare se accetta o rinuncia, pena la decadenza dal diritto di accettare.
IMPUGNABILITÀ DELL'ACCETTAZIONE
Ai sensi dell’art. 482 c.c., l’accettazione può essere impugnata per violenza o dolo entro 5 anni dalla cessazione della violenza o dalla scoperta del dolo.
La dottrina si è interrogata se, in caso di impugnativa, l’accettante debba essere considerato come rinunziante, con applicazione dell’art. 525 c.c., o se torni nella condizione di chiamato, escludendo l’accettazione da parte di ulteriori chiamati. Secondo F. Gazzoni, la prima soluzione è più coerente, ma la seconda è preferibile quando non vi sia una rinunzia opponibile.
L’art. 483 c.c. esclude l’impugnabilità per errore, ma prevede che, se dopo l’accettazione viene scoperto un testamento sconosciuto, l’erede non è tenuto a soddisfare i legati oltre il valore dell’eredità o con pregiudizio della legittima.
Secondo la dottrina, la norma riguarda solo “l'errore vizio” e non quello ostativo di cui all’art. 1433 c.c., mancando in tal caso la volontà di accettare (L. Ferri, 1997).
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