La tutela della persona: l'amministrazione di sostegno, l'interdizione e l'inabilitazione

Indice:
Premessa
Il Legislatore italiano, così come avveniva già al tempo del diritto romano, si è posto il problema della tutela e dell'assistenza di quei soggetti che, per età o malattia, non siano più in grado, in tutto o in parte, di curare adeguatamente i propri interessi.
Se nell'antica Roma erano note le figure del curator furiosi e del curator prodigi, il nostro ordinamento prevede e disciplina nel Codice Civile, dall’art. 404 all’art. 432, gli istituti dell'amministrazione di sostegno, dell'interdizione e dell'inabilitazione.
Nei paragrafi che seguono, cercheremo di fornire semplici nozioni in merito alle soluzioni adottate al fine di rispondere a quell'esigenza di protezione dei propri familiari che spesso nasce dal naturale progredire del tempo.
La capacità giuridica e la capacità di agire
Prima di addentrarci nell’analisi delle tre forme di protezione, è necessario ricordare a cosa si riferisca il Legislatore con il concetto di capacità.
L'art. 1 del c.c. disciplina la capacità giuridica, ovvero l'idoneità di un individuo ad essere titolare di diritti e di doveri. La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita e perdura fino alla morte.
La capacità di agire, invece, viene conseguita al compimento della maggiore età (art. 2 c.c.) e consiste nella possibilità di compiere atti giuridici in grado di incidere sulla propria sfera personale e patrimoniale. In altri termini, con il compimento del diciottesimo anno l’individuo può creare, modificare o estinguere validamente rapporti giuridici (es. il maggiorenne può porre in essere atti con cui si acquistano o esercitano diritti, si assumono obblighi, etc.).
Il momento di acquisizione della capacità d'agire è stato fissato presumendo che al compimento della maggiore età corrisponda il raggiungimento di un livello di maturità sufficiente a consentire ad un soggetto di rendersi pienamente conto dell'importanza e delle conseguenze dell'atto che si accinge a porre in essere. Si ritiene, quindi, che il maggiorenne disponga della c.d. capacità naturale o capacità di intendere o volere.
Può, però, verificarsi il caso che sia necessario privare un individuo della capacità di agire in quanto venga accertato che, per motivi di salute o sociali, non sia più, o non sia mai stato, capace di intendere e di volere.
L'amministrazione di sostegno, l'interdizione e l'inabilitazione soccorrono a questa esigenza, privando, in tutto o in parte, l’incapace naturale della capacità di agire e non di quella giuridica.
L'amministrazione di sostegno
L'amministrazione di sostegno è stata introdotta nel nostro ordinamento con la L. 9 gennaio 2004, n. 6, al fine di temperare la rigidità delle disposizioni relative all'interdizione e all'inabilitazione, mirando al rispetto della dignità umana e alla cura complessiva della persona.
Trattasi di una misura che prevede l'opportunità di affiancare al soggetto privo (anche solo in parte o temporaneamente) di autonomia, una persona alla quale vengono affidati compiti più o meno ampi, sacrificando nella minor misura possibile la capacità di agire del beneficiario.
Tra le misure poste a protezione degli incapaci, l'amministrazione è di certo quella meno invasiva. La persona amministrata, infatti, conserva la capacità di agire per tutti quegli atti che non richiedono la necessaria rappresentanza o l'assistenza dell'amministratore di sostegno.
Riferimenti normativi
Codice Civile Artt. 404-413.
Codice di Procedura Civile Artt. 712-720 bis.
I presupposti
L'amministrazione di sostegno è finalizzata alla tutela della persona che, per effetto di un'infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trovi nell'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi.
Pertanto, i presupposti richiesti dall'art. 404 c.c. per accedere a tale misura di protezione sono essenzialmente due, che devono sussistere congiuntamente:
• l’infermità o la menomazione: la prima consiste in una malattia grave o cronica che renda l'individuo totalmente o parzialmente inabile alle normali attività. Essa può essere di varia natura (fisica o psichica) e dovuta ai più diversi fattori causali (origine genetica, congenita, da agenti esterni, da malnutrizione o mancanza di cure, psicogena o legata alla senescenza, ecc.); la seconda, invece, comprende mutilazioni, lesioni, condizioni di handicap fisico o psichico.
• l’impossibilità di provvedere ai propri interessi: incapacità di badare alla cura della propria persona, nonché alla conservazione e amministrazione del proprio patrimonio.
Chi può richiedere l'amministrazione di sostegno
Ai sensi dell'art. 406 c.c., i soggetti legittimati a proporre ricorso per l'amministrazione di sostegno sono:
• il beneficiario (la persona interessata);
• il coniuge;
• la persona stabilmente convivente;
• i parenti entro il quarto grado (padre, figlio, fratelli, nonni, nipoti bisnonno, pronipoti, zii);
• gli affini (i parenti del coniuge) entro il secondo grado;
• il tutore o curatore;
• il Pubblico Ministero (anche su segnalazione dei Servizi Sanitari e Sociali che, essendo impegnati nella cura e nell'assistenza della persona, vengono a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l'apertura dell'amministrazione di sostegno)
Come richiedere l'amministrazione di sostegno
La domanda per l'apertura dell'amministrazione di sostegno si propone con ricorso al Tribunale del luogo ove la persona interessata ha la residenza o il domicilio.
Il ricorso deve contenere le seguenti indicazioni:
• le generalità del beneficiario;
• la sua dimora abituale;
• le ragioni per cui si chiede la nomina dell'amministratore di sostegno;
• il nominativo e il domicilio, se conosciuti dal ricorrente, del coniuge, dei discendenti, degli ascendenti, dei fratelli e dei conviventi del beneficiario.
L'amministratore di sostegno
1. La scelta dell'amministratore di sostegno
Il Giudice Tutelare sceglie l'amministratore di sostegno con esclusivo riguardo alla cura e agli interessi della persona del beneficiario.
L'amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata.
Nella scelta, il Giudice preferisce, ove possibile, il coniuge che non sia legalmente separato, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il figlio o il fratello o la sorella, il parente entro il quarto grado ovvero il soggetto designato dal genitore superstite con testamento, atto pubblico o scrittura privata autenticata.
Il Giudice Tutelare, quando ne ravvisi l'opportunità, può nominare altra persona ritenuta idonea.
Ai sensi dell'art. 405 c.c., il Giudice Tutelare provvede alla designazione dell'amministratore di sostegno entro 60 giorni dalla data di presentazione della richiesta.
Il decreto di nomina contiene:
• le generalità della persona beneficiaria e dell'amministratore di sostegno;
• la durata dell'incarico, che può essere anche a tempo indeterminato;
• l'oggetto dell'incarico e gli atti che l'amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario;
• gli atti che il beneficiario può compiere solo con l'assistenza dell'amministratore di sostegno;
• i limiti, anche periodici, delle spese che l'amministratore di sostegno può sostenere con utilizzo delle somme di cui il beneficiario ha o può avere la disponibilità;
• la periodicità con cui l'amministratore di sostegno deve riferire al giudice circa l'attività svolta e le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario.
Se la durata dell'incarico è a tempo determinato, il giudice tutelare può prorogarlo con decreto motivato pronunciato anche d'ufficio prima della scadenza del termine.
2. Compiti e doveri dell'amministratore di sostegno
Nello svolgere i compiti a lui affidati, l'amministratore di sostegno deve tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario.
Inoltre, l'amministratore di sostegno è tenuto a:
• informare tempestivamente il beneficiario circa gli atti da compiere;
• comunicare al Giudice Tutelare eventuali dissensi con il beneficiario;
• svolgere il proprio incarico con fedeltà e diligenza (a tal fine, l'amministratore di sostegno, una volta nominato, presta il giuramento di rito);
• eseguire, appena dopo la nomina, l'inventario dei beni dell'amministrato e presentarlo al Giudice Tutelare nei termini previsti dal decreto;
• redigere, con cadenza annuale, il rendiconto della gestione economica;
• riferire periodicamente al Giudice Tutelare circa l'attività svolta e le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario.
Gli atti compiuti dall'amministratore di sostegno in violazione di disposizioni di legge, o in eccesso rispetto all'oggetto dell'incarico o ai poteri conferitigli dal giudice, possono essere annullati su istanza dell'amministratore di sostegno, del pubblico ministero, del beneficiario o dei suoi eredi ed aventi causa.
Possono essere parimenti annullati su istanza dell'amministratore di sostegno, del beneficiario, o dei suoi eredi ed aventi causa, gli atti compiuti personalmente dal beneficiario in violazione delle disposizioni di legge o di quelle contenute nel decreto che istituisce l'amministrazione di sostegno.
Le azioni relative si prescrivono nel termine di cinque anni. Il termine decorre dal momento in cui è cessato lo stato di sottoposizione all'amministrazione di sostegno.
Condizione giuridica del beneficiario
Il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno e può compiere gli atti indispensabili per soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana.
È questa la principale differenza tra l'istituto in esame e l'interdizione. Con l'amministrazione di sostegno, infatti, il beneficiario mantiene una propria sfera di autonomia, mentre l'interdizione ha come conseguenza la limitazione totale della capacità di agire.
La revoca dell'amministrazione di sostegno
Qualora il beneficiario, l'amministratore di sostegno, il pubblico ministero o gli altri soggetti legittimati, ritengono che si siano determinati i presupposti per la cessazione dell'amministrazione di sostegno, o per la sostituzione dell'amministratore, rivolgono istanza motivata al Giudice Tutelare.
L'istanza è comunicata al beneficiario ed all'amministratore di sostegno.
Il Giudice Tutelare provvede con decreto motivato, acquisite le necessarie informazioni e disposti gli opportuni mezzi istruttori.
Il Giudice Tutelare provvede altresì, anche d'ufficio, alla dichiarazione di cessazione dell'amministrazione di sostegno quando questa si sia rivelata inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario. In tale ipotesi, se ritiene che si debba promuovere giudizio di interdizione o di inabilitazione, ne informa il pubblico ministero, affinché vi provveda. In questo caso l'amministrazione di sostegno cessa con la nomina del tutore o del curatore provvisorio ai sensi dell'articolo 419 c.c., ovvero con la dichiarazione di interdizione o di inabilitazione.
L'interdizione
L'interdizione è l'istituto tradizionale di ampia tutela di un soggetto privo della capacità di intendere e di volere.
A differenza delle altre due figure oggetto del presente lavoro, l'interdizione priva del tutto il soggetto della capacità d’agire.
Riferimenti normativi
Codice Civile Artt. 414-432.
Codice di Procedura Civile Artt. 712-720.
I presupposti
I presupposti richiesti dall'art. 414 c.c. al fine della pronuncia di interdizione da parte del Tribunale sono:
• infermità mentale grave e abituale: si intende una malattia grave al punto da impedire al soggetto di esprimere liberamente e consapevolmente una volontà. La malattia deve essere irreversibile e/o incurabile (ad esempio non è sufficiente un esaurimento nervoso destinato a risolversi).
• conseguente incapacità di provvedere alla cura dei propri interessi: sia quelli economici sia quelli extrapatrimoniali;
• necessità di ricorrere a questo strumento per garantire un'adeguata protezione alla persona inferma: l’interdizione è, quindi, uno strumento residuale rispetto all’amministrazione di sostegno e all'inabilitazione. Si utilizza, quindi, tale figura qualora gli altri strumenti di protezione non siano idonei e/o sufficienti.
Chi può richiedere l’interdizione
Oltre all'interdicendo, i soggetti abilitati a presentare la domanda di interdizione sono indicati dall'art. 417 c.c. e sono:
• il coniuge;
• la persona stabilmente convivente;
• i parenti entro il quarto grado (padre, figlio, fratelli, nonni, nipoti bisnonno, pronipoti, zii);
• gli affini (i parenti del coniuge) entro il secondo grado;
• il tutore o curatore;
• il Pubblico Ministero.
Come richiedere l'interdizione
La domanda di interdizione deve essere presentata con ricorso diretto al tribunale del luogo ove la persona che deve essere interdetta ha la residenza o il domicilio tramite l'assistenza obbligatoria di un avvocato.
Il ricorso deve contenere, ai sensi dell'art. 712 c.p.c.:
• l’esposizione dei fatti sui quali la domanda è fondata;
• il nome, il cognome e la residenza del coniuge, dei parenti entro il quarto grado, degli affini entro il secondo grado e del tutore o curatore dell'interdicendo.
Il tutore
1. La scelta del tutore
Il tutore è nominato tenendo conto dell'interesse esclusivo dell'interdetto. La scelta è compiuta di preferenza tra il coniuge che non sia separato (o la persona stabilmente convivente), il padre, la madre, un figlio maggiorenne o la persona designata con testamento dal genitore superstite.
2. Compiti e doveri del tutore
Il tutore ha il compito di rappresentare legalmente l’interdetto e di amministrarne il patrimonio, sostituendosi alla persona incapace nel compimento degli atti necessari.
Con riferimento agli atti che può porre in essere il tutore è necessario distinguere tra:
• gli atti di ordinaria amministrazione: questi possono essere posti in essere dal tutore senza necessità di alcuna autorizzazione e sono quelli che tendono unicamente a gestire il patrimonio dell'interdetto senza intaccarne la consistenza;
• gli atti di straordinaria amministrazione: per i quali è necessaria l'autorizzazione del giudice tutelare o del tribunale e sono quelli che incidono in modo maggiore sul patrimonio dell'interdetto. In particolare è richiesta l'autorizzazione:
a) del Giudice Tutelare per:
- acquistare beni, tranne quelli mobili necessari per l'economia domestica e per l'amministrazione del patrimonio;
- riscuotere capitali, consentire alla cancellazione di ipoteche o allo svincolo di pegni, assumere obbligazioni;
- accettare eredità o rinunciarvi, accettare donazioni o legati;
- fare contratti di locazione d'immobili di durata superiore ai nove anni;
- promuovere giudizi, salvo che si tratti di denunzie di nuova opera o di danno temuto, di azioni possessorie o di sfratto e di azioni per riscuotere frutti o per ottenere provvedimenti conservativi.
b) del Tribunale, su parere del Giudice Tutelare per:
- alienare beni, salvo quando siano soggetti a facile deterioramento;
- costituire pegni o ipoteche;
- procedere a divisioni o promuovere i relativi giudizi;
- fare compromessi e transazioni o accettare concordati.
Gli atti compiuti in assenza delle autorizzazioni ora ricordate possono essere annullati su istanza del tutore, dell'interdetto o dei suoi eredi o avanti causa entro cinque anni dalla cessazione dello stato di interdizione.
Il tutore deve, inoltre, tenere la contabilità della sua amministrazione e presentare annualmente al giudice tutelare il rendiconto.
In ultimo, si ricorda che sono nulle le disposizioni testamentarie dell’interdetto in favore del tutore se compiute dopo la nomina di quest’ultimo, salvo che sia ascendente, discendente, fratello, sorella o coniuge del testatore.
La condizione giuridica dell’interdetto
L’interdetto, così come il minore di età, non può compiere direttamente nessun atto che abbia una rilevanza giuridica se non quelli necessari a soddisfare le esigenze della vita quotidiana in rapporto alle proprie capacità intellettive.
A seguito della sentenza, sono preclusi all’interdetto tra gli altri atti:
• il matrimonio,
• il riconoscimento di figli nati fuori del matrimonio,
• la possibilità di fare testamento.
Gli atti negoziali compiuti dall’interdetto possono essere annullati tramite procedimento promosso dal tutore (o dallo stesso interdetto una volta revocata l’interdizione) entro cinque anni dalla cessazione dello stato di interdizione.
Il Tribunale, peraltro, con la sentenza che pronuncia l’interdizione o con provvedimento separato, può autorizzare l’interdetto a compiere alcuni atti di ordinaria amministrazione autonomamente o con l’assistenza del tutore.
Nel caso in cui venissero meno i presupposti fondanti l’interdizione, può essere presentata domanda di revoca dagli stessi soggetti che sono abilitati a promuovere il giudizio di interdizione.
L’inabilitazione
L’inabilitazione è rivolta ai soggetti, infermi di mente, le cui condizioni non siano così gravi da richiedere una privazione completa della capacità d’agire tramite l’interdizione ma, comunque, tali per cui il ricorso all’amministrazione di sostegno non sia sufficiente.
L’inabilitato, infatti, conserva la capacità di porre in essere da solo gli atti di ordinaria amministrazione, mentre per quelli di straordinaria amministrazione necessita dell’assistenza del curatore.
È una forma di protezione rivolta agli atti di straordinaria amministrazione del patrimonio.
Riferimenti normativi
Codice Civile Artt. 414-432.
Codice di Procedura Civile Artt. 712-720.
I presupposti
Ai sensi dell’art. 415 c.c., l’inabilitazione può essere pronunciata quando ricorra alternativamente uno dei seguenti requisiti:
• infermità di mente non talmente grave da far luogo all’interdizione: in altre parole l’inabilitazione è rivolta a quei soggetti che, sebbene siano affetti da malattia, non siano totalmente privi della capacità di intendere e volere.
• prodigalità che esponga l’inabilitando stesso e la sua famiglia a gravi pregiudizi economici: con ciò si intende un impulso patologico che incida negativamente sulle capacità dell’individuo di valutare la rilevanza economica dei propri atti tale da spingerlo allo sperpero. Non è rilevante, invece, una consapevole scelta di vita che comporti il distacco dai beni terreni.
• abuso abituale di bevande alcooliche o di stupefacenti che esponga l’inabilitando stesso e la sua famiglia a gravi pregiudizi economici.
• sordità o cecità dalla nascita o dalla prima infanzia a condizione che l’inabilitato non abbia ricevuto un’educazione sufficiente: per non dar corso all’inabilitazione l’educazione ricevuta dal soggetto deve essere stata tale da fargli acquisire la capacità di curare personalmente i propri interessi.
Come richiedere l’inabilitazione
La domanda di inabilitazione deve essere presentata con ricorso diretto al tribunale del luogo ove la persona che deve essere interdetta ha la residenza o il domicilio tramite l'assistenza obbligatoria di un avvocato.
Il ricorso deve contenere, ai sensi dell'art. 712 c.p.c.:
• l’esposizione dei fatti sui quali la domanda è fondata;
• il nome, il cognome e la residenza del coniuge, dei parenti entro il quarto grado, degli affini entro il secondo grado e del tutore o curatore dell'interdicendo.
Il curatore
1. La scelta del curatore
Il curatore, così come avviene per il tutore dell’interdetto, è nominato tenendo conto dell'interesse esclusivo dell'inabilitato. La scelta è compiuta di preferenza tra il coniuge che non sia separato (o la persona stabilmente convivente), il padre, la madre, un figlio maggiorenne o la persona designata con testamento dal genitore superstite.
2. Compiti e doveri del curatore
Il curatore non si sostituisce all’inabilitato nel compiere gli atti di straordinaria amministrazione, ma lo assiste, ponendo in essere l’atto unitamente allo stesso ed integrandone la volontà, previo ottenimento dell’autorizzazione giudiziale.
Tale autorizzazione è disciplinata dalle stesse norme previste per l’autorizzazione del tutore dell’interdetto al compimento di atti di straordinaria amministrazione. Per la distinzione della competenza tra Giudice Tutelare e Tribunale si rimanda, pertanto, all’elencazione sopra riportata.
In caso di conflitto nel compimento di un determinato atto tra l’inabilitato e il curatore o se quest’ultimo rifiuta il consenso, l’inabilitato può ricorrere al Tribunale, che, se ritiene ingiustificato il rifiuto, nomina un curatore speciale per quell’atto.
Gli atti compiuti in assenza delle autorizzazioni in parola possono essere annullati su istanza del curatore, dell'inabilitato o dei suoi eredi o avanti causa entro cinque anni dalla cessazione dello stato di inabilitazione.
Il curatore non è tenuto a redigere il rendiconto annuale dell’amministrazione dei beni dell’inabilitato.
La condizione giuridica dell’inabilitato
Come si è già detto, l’inabilitato può porre in essere autonomamente gli atti di ordinaria amministrazione, cioè quelli diretti unicamente a gestire il patrimonio senza intaccarne la consistenza.
La capacità di agire, pertanto, permane in capo all’inabilitato. Questi, infatti, non vede mai sostituita la volontà del curatore alla propria nel compimento degli atti di straordinaria amministrazione.
Con riferimento a quest’ultimi, inoltre, il Giudice, con la sentenza che pronuncia l’inabilitazione o con successivo provvedimento, può prevedere che taluni di detti atti siano compiuti in maniera autonoma dall’inabilitato, senza l’assistenza del curatore.
La procedura
Il procedimento, disciplinato agli artt. 712 e ss. c.p.c., è sostanzialmente il medesimo per le tre misure di protezione analizzate.
Come detto, la domanda per l'amministrazione di sostegno, l'inabilitazione e l'interdizione si propone con ricorso, il cui contenuto è disciplinato dall'art. 712 c.p.c..
Il Presidente del Tribunale, ricevuto il ricorso ed esperiti gli incombenti di rito, se non ritiene di dover rigettare la domanda, nomina il Giudice Tutelare (per quanto concerne l'amministrazione di sostegno) o il Giudice istruttore (con riferimento all'interdizione e all'inabilitazione) e fissa con decreto l'udienza di comparizione davanti a lui del ricorrente, del beneficiario (o dell'interdicendo o dell'inabilitando) e delle altre persone indicate nel ricorso, le cui informazioni ritenga utili (art. 713 c.p.c.).
Il ricorso e il decreto sono notificati, a cura del ricorrente, entro il termine fissato nel decreto stesso, alle persone sopra menzionate. Il decreto è altresì comunicato al Pubblico Ministero.
Il Giudice deve procedere all'esame della persona cui il procedimento si riferisce recandosi, ove occorra, nel luogo in cui questa si trova (artt. 407 c.c., 714 e 715 c.p.c.).
Il Giudice provvede, assunte le necessarie informazioni e sentiti i soggetti indicati nel ricorso, e dispone, ove necessario, gli accertamenti di natura medica e tutti gli altri mezzi istruttori utili ai fini della decisione.
Il Giudicante può anche procedere alla nomina di un amministratore, un tutore o un curatore provvisorio (artt. 405, c. 4, c.c. e 717 c.p.c.).
Ai sensi dell'art. 718 c.p.c., la sentenza che provvede sulla domanda d'interdizione o di inabilitazione può essere impugnata da tutti coloro che avrebbero avuto diritto di proporre la domanda, anche se non parteciparono al giudizio, e dal tutore o curatore nominato con la stessa sentenza.
Contro il decreto del giudice tutelare, invece, è ammesso reclamo alla corte d'appello a norma dell'articolo 739 c.p.c. Contro il decreto della corte d'appello pronunciato a seguito di tale gravame può essere proposto ricorso per cassazione (art. 720 bis c.p.c.).
Il termine per l’impugnazione decorre, per tutte le persone sopra indicate, dalla notificazione della sentenza a tutti coloro che parteciparono al giudizio.
Se è stato nominato un tutore o curatore provvisorio, l'atto d’impugnazione deve essere anche a lui notificato (art. 719 c.p.c.).
Le tre misure di protezione poc'anzi analizzate possono essere oggetto di revoca (artt. 413 c.c. e 720 c.p.c.).
Quale figura di protezione scegliere
Conclusa la disamina delle misure di protezione previste dal nostro Legislatore, nello spirito del presente lavoro, riteniamo opportuno fornire alcune indicazioni utili al fine di agevolare la scelta dello strumento più idoneo a tutelare il soggetto, del tutto o in parte, incapace.
I criteri distintivi dell’ambito di applicazione degli istituti in parola sono stati individuati dalla Giurisprudenza della Corte di Cassazione.
La Suprema Corte ha, infatti, precisato che il primo criterio consiste nel tipo di attività che deve essere compiuta per conto del soggetto incapace: ad “un'attività minima, estremamente semplice, e tale da non rischiare di pregiudicare gli interessi del soggetto - vuoi per la scarsa consistenza del patrimonio disponibile, vuoi per la semplicità delle operazioni da svolgere (attinenti, ad esempio, alla gestione ordinaria del reddito da pensione), e per l'attitudine del soggetto protetto a non porre in discussione i risultati dell'attività di sostegno nei suoi confronti […] corrisponderà l'amministrazione di sostegno” mentre si potrà ricorrere all'interdizione quando si tratta “di gestire un' attività di una certa complessità, da svolgere in una molteplicità di direzioni, ovvero nei casi in cui appaia necessario impedire al soggetto da tutelare di compiere atti pregiudizievoli per sé, eventualmente anche in considerazione della permanenza di un minimum di vita di relazione che porti detto soggetto ad avere contatti con l’esterno” (Cass. Civ. n. 22332/2011).
Solo in secondo luogo, nel caso in cui persistano dubbi sulla misura di protezione più idonea, si potrà far riferimento alla “gravità e [al]la durata della malattia, ovvero [al]la natura e [al]la durata dell'impedimento, nonché tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie” (Cass. Civ. n. 22332/2011).
Con la sentenza ricordata e con altre dello stesso tenore, il Giudice delle leggi ha, quindi, ribadito la finalità dell’amministrazione di sostegno: proteggere il soggetto, in tutto o in parte, incapace con la minore limitazione possibile della capacità d’agire.
La scelta della misura di protezione da adottare, pertanto, deve essere compiuta ponendo l’attenzione sulle esigenze di assistenza del soggetto incapace, prima che sulla gravità della patologia dello stesso.
Sarà quindi più idonea la nomina di un amministratore di sostegno se l’incapace necessità di un’assistenza di scarsa rilevanza sia per l’esiguità del suo patrimonio, sia perché non è necessario porre in essere operazioni che possano incidere significativamente su quest’ultimo.
Diversamente, se, per esempio, l’incapace è titolare di un’attività imprenditoriale ed è necessario gestire la stessa al suo posto oppure vi è l’esigenza di impedire allo stesso di porre in essere atti a sé pregiudizievoli, si dovrà far ricorso ad una delle due misure di protezione più incisive.
Atti compiuti da persona incapace d’intendere o di volere
Per completezza di trattazione, è opportuno soffermarsi a riflettere sull’ipotesi in cui un soggetto privo della capacità di intendere e volere ponga in essere atti giuridici prima che intervenga una delle figure di protezione sopra esaminate.
In una siffatta ipotesi, il legislatore permette al soggetto stesso, ai suoi eredi e ai suoi aventi causa di impugnare l’atto al fine di ottenerne l’annullamento.
A seconda del tipo di atto posto in essere dal soggetto incapace naturale, però, il legislatore ha previsto requisiti differenti al fine di ottenerne l’annullamento.
In particolare:
• per il matrimonio, il testamento e la donazione: è necessario fornire la prova solo dell’incapacità d’intendere e di volere del soggetto nel momento in cui è stato compiuto l’atto;
• per gli atti unilaterali: (ad esempio la rinuncia ad un credito) oltre alla prova dell’incapacità naturale al momento in cui è stato compiuto l’atto, è necessario dimostrare che questo arrechi un grave pregiudizio all’incapace stesso;
• per i contratti: (ad esempio la compravendita) oltre alla prova sull’incapacità di intendere e volere al momento in cui è stato compiuto l’atto, è necessario dimostrare che l’altro contraente era in malafede. In altre parole, è possibile ottenere l’annullamento sole se si prova che l’altro contraente si rendeva conto o avrebbe dovuto rendersi conto, usando l’ordinaria diligenza, che stava concludendo un contratto con un soggetto incapace.
In ultimo, si deve ricordare come l’annullamento possa essere richiesto entro cinque anni dal momento in cui l’atto è stato posto in essere.
Articolo redatto in collaborazione con il Collega Avv. Luca Corbellini
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