Catcalling: le molestie di strada
Quello che le donne… non vogliono
“E dalle macchine per noi i complimenti del playboy”.
Non è difficile riconoscere la strofa di una delle più note canzoni italiane, manifesto del sentire femminile,”Quello che le donne non dicono”, scritta nel 1987 da Enrico Ruggieri ed interpretata e portata al successo da Fiorella Mannoia.
Fa effetto pensare che, a distanza di tempo, ci si interroghi sulla liceità di una condotta del genere, giudicata da molti espressione di una mentalità sessista.
Catcalling, cos'è
Perché, estremizzando, oggi un comportamento siffatto potrebbe essere inquadrato sotto il nome di ciò che viene definito catcalling, neologismo coniato per indicare, appunto, la condotta, posta in essere da sconosciuti per strada nei confronti di donne, consistente in apprezzamenti con valenza sessuale ed esplicitata attraverso ad esempio un fischio, un colpo di clacson o una battuta volgare.
Si tratta, quindi, di una molestia sessuale, verbale e di strada che ha per oggetto il corpo o l’atteggiamento di una donna. In molti si chiederanno, ma quindi adesso non sono più ammessi apprezzamenti alle donne?
Il dibattito è iniziato. È evidente che il confine tra un apprezzamento e un complimento indesiderato è labile. Mi torna così in mente l’esempio fatto a mio figlio di 7 anni per spiegare la differenza tra uno scherzo e una vera e propria presa in giro. Nel primo caso ci si diverte in due, sia chi lo fa sia chi lo riceve, nel secondo a divertirsi, a spese dell’altro, è solo il primo.
Potremmo dire che lo stesso vale per il c.d. catcalling, laddove diventa determinante valutare e cogliere l’effetto che tale condotta produce in chi la subisce.
Quindi, il comportamento prima descritto, potrebbe avere rilievo sul piano giuridico, nella misura in cui le battute o le attenzioni vengano decodificate come una vessazione e/o come una forma esplicita di maschilismo enfatizzato e abbiano l’effetto di colpevolizzare le donne, inducendole a pensare che il motivo per cui vengono importunate dipenda dal loro abbigliamento, dal loro atteggiamento o comunque dalla loro fisicità.
Si tratterebbe, quindi, di tutelare la libertà individuale di circolazione negli spazi pubblici delle donne. Il condizionale è d’obbligo perché, a differenza di quanto avvenuto in altri paesi europei, come ad esempio Francia, Belgio e Portogallo dove l’ipotesi della molestie di strada è già regolamentata dalla legge, in Italia manca una disciplina ad hoc.
La qualificazione giuridica della condotta di catcalling
Attualmente nel nostro ordinamento il catcalling non è reato e si tratta di una condotta di difficile inquadramento giuridico.
In assenza di una specifica disciplina, la tendenza è quella di ricondurre tali condotte all’interno del reato di molestie o disturbo alle persone previsto e punito dall’art. 660 c.p. o addirittura in quello di atti persecutori, c.d. “stalking”, di cui all’art. 612 bis c.p nel caso in cui le molestie reiterate abbiano l’effetto di cagionare un grave stato d’ansia nella vittima provocando mutamenti nelle proprie abitudini di vita.
Tuttavia, alcuni segnalano delle criticità rappresentate da importanti elementi di differenziazione: nel reato di molestia il bene giuridico tutelato dalla norma è l’ordine pubblico e non la dignità della vittima come dovrebbe essere per il “catcalling”; nello “stalking” è richiesto che la condotta sia reiterata nel tempo laddove per il “catcalling” si presenta come isolata ed istantanea.
Catcalling, nuova forma di bullismo?
C’è chi ha equiparato il “catcalling” al bullismo. Anche in questo non mancano però differenze significative quali i soggetti coinvolti, la natura del rapporto tra autore e vittima ed il contesto in cui i fatti si svolgono. Infatti, gli episodi di bullismo riguardano principalmente i minori e di solito c’è un rapporto di conoscenza tra vittima ed autore dell’atto di bullismo, mentre come detto il catcalling viene posto in essere in strada da persone sconosciute.
Ad ogni modo, questo parallelismo tra bullismo e “catcalling” fa sorgere una riflessione. La giurisprudenza, per sensibilizzare e incentivare una presa di posizione contro atti di bullismo ha esteso la responsabilità civile per episodi di questo genere anche ai genitori di chi si limita ad assistere senza intervenire o dissociarsi.
Sulla base di queste premesse, c’è da chiedersi se sia ragionevole ritenere configurabile un concorso nella condotta di “catcalling” per chi, facendo parte del “branco”, assiste a fenomeni di questo tipo senza prenderne apertamente le distanze.
Non solo donne
Il “catalling” colpisce le donne ma non solo. Le condotte descritte, in quanto atti di discriminazione di genere, possono colpire anche soggetti appartenenti a minoranze etniche, disabili, omossessuali. È evidente che quello del “catcalling” è un problema soprattutto culturale più che giuridico, da trattare con accortezza.
Da una parte la possibilità di utilizzare il diritto come strumento per sensibilizzare e per certificare l’inaccettabilità di alcuni comportamenti. Dall’altra il rischio di demandare alla legge compiti che non le appartengono trasformando in reati condotte moralmente discutibili che però non hanno le caratteristiche sufficienti per essere definite antigiuridiche.
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