Tardiva diagnosi e danno differenziale


Il Tribunale di Milano si pronuncia in merito alla richiesta risarcitoria avanzata da una donna che aveva subito un aggravamento della malattia
Tardiva diagnosi e danno differenziale
Il tema, giuridicamente assai rilevante, riguarda la tardiva diagnosi e il risarcimento del danno differenziale.
La Ia Sezione Civile del Tribunale di Milano, con Sentenza del 23 Agosto 2016, si è pronunciata in merito alla richiesta risarcitoria avanzata da una donna che aveva subito un aggravamento della malattia a causa dell’inadempimento del medico e della struttura ospedaliera.
La donna, già affetta da fibrocistiche a medi nodi, nel Febbraio 2009 eseguiva un controllo ecografico che riscontrava un nuovo piccolo nodo del diametro di 9 mm.
Il medico, di conseguenza, prescriveva alla paziente la ripetizione dell’esame dopo 4 mesi.
Nel Luglio dello stesso anno, la donna effettuava l’accertamento richiesto e dal referto ecografico emergeva un aumento della massa da 9 a 22 mm.
Ciononostante, il medico formulava una diagnosi non patologica e suggeriva un ulteriore controllo a distanza di altri 4 mesi.
Il terzo esame ecografico, eseguito secondo la tempistica dettata dal medico, portava alla luce una tumefazione di circa 3 cm che rendeva necessario un intervento chirurgico di asportazione del nodulo.
La donna veniva sottoposta a mastectomia totale con dissezione ascellare e a cicli di chemioterapia, avendo evidenziato, l’esame istologico, la presenza di "carcinoma duttuale infiltrante della mammella con metastasi linfonodali".
Il Tribunale accoglieva le domande svolte dalla donna ritenendo sussistente la responsabilità professionale del medico, unitamente a quella dell’ospedale, in merito alla mancata corretta valutazione della necessità di prescrivere ulteriori accertamenti che avrebbero consentito, secondo un criterio di preponderanza dell’evidenza, di intervenire tempestivamente sul tumore.
Ritenendo l’approccio chirurgico, dunque, maggiormente demolitivo e più invalidante, il Tribunale di Milano procedeva ad individuare il danno alla persona tenendo in debita considerazione la situazione patologica preesistente:
a) non può farsi gravare sul medico, in via automatica, una misura del danno da risarcirsi incrementata da fattori estranei alla sua condotta;
b) la liquidazione va necessariamente rapportata ad una concreta verifica delle conseguenze incrementative subite dalla parte lesa.
In aderenza agli insegnamenti della Suprema Corte di Cassazione, il Tribunale, pertanto, ribadiva che "...qualora la produzione di un evento dannoso possa apparire riconducibile, sotto il profilo eziologico, alla concomitanza della condotta del sanitario e del fattore naturale rappresentato dalla pregressa situazione patologica del danneggiato, il Giudice deve accertare, sul piano della causalità materiale, l’efficienza eziologica della condotta rispetto all’evento di danno in applicazione della regola di cui all’Art. 41 del Cod. Pen., così da ascrivere l’evento di danno interamente all’autore della condotta illecita, per poi procedere, eventualmente anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa efficienza delle varie concause sul piano della causalità giuridica onde ascrivere all’autore della condotta, responsabile tout court sul piano della causalità materiale, un obbligo risarcitorio che non comprenda anche le conseguenze dannose non riconducibili eziologicamente all’evento di danno, bensì determinate dal fortuito, come tale da reputarsi la pregressa situazione patologica del danneggiato che, a sua volta, non sia eziologicamente riconducibile a negligenza, imprudenza ed imperizia del sanitario".
Si tratta, chiarisce ancora il Tribunale, di esaminare una situazione caratterizzata da lesioni che si inseriscono su di uno stato di preesistente patologia e che può riguardare lo stesso organo, in caso di lesioni concorrenti, ovvero organi diversi, in caso di lesioni coesistenti.
In considerazione di ciò, tali lesioni sono difficilmente rapportabili a uno schema liquidatorio che deve essere, dunque, modulato in relazione alla vicenda clinica e alla specifica situazione concreta della parte lesa e deve tener conto di tutti i riflessi sull’integrità psico biologica, del condizionamento e del pregiudizio delle attività aredittuali.
Difatti, dopo un’approfondita analisi del caso, il Tribunale determinava l’entità del danno iatrogeno differenziale, riferibile all’erronea attività dei sanitari, nella misura del 10% rispetto alla complessiva invalidità della donna (20%).

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di Avv.to Angelo De Nina

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