Servitù di uso pubblico


Le servitù di uso pubblico: come si costituiscono e a chi spettano?
I poteri del Comune sulle superfici private gravate da diritto di uso pubblico
Servitù di uso pubblico

Le servitù di uso pubblico rientrano nella più ampia categoria dei diritti reali pubblici di godimento costituiti su immobili di proprietà privata. L’istituto delle servitù di uso pubblico (dette anche diritti di uso pubblico) è disciplinato dall’art. 825 c.c. e ricomprende i diritti reali che spettano allo Stato, alle province e ai comuni su beni appartenenti ad altri soggetti non per l’utilità di un bene demaniale, ma "per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli cui servono i beni [demaniali] medesimi".
Nonostante la corrente definizione di "servitù", esse mancano di quel rapporto tra fondo dominante e fondo servente che, invece, caratterizza le servitù prediali propriamente dette. La giurisprudenza ha più volte avuto modo di precisare che le servitù di uso pubblico consistono in un peso imposto su un bene privato non per l’utilità, e quindi a favore, di un determinato bene, ma nel pubblico interesse, a favore della collettività.
I diritti in questione presuppongono una publica utilitas, ossia l’oggettiva idoneità del bene privato a soddisfare una esigenza comune ad una collettività indeterminata di cittadini: esigenza che va intesa in senso ampio, e cioè non come pura e semplice necessità, ma anche come mera comodità. Si tratta di diritti reali sui generis, assoggettati al regime previsto per i beni del demanio pubblico, e quindi inalienabili e imprescrittibili.
COME SI COSTITUISCE
I diritti in parola si costituiscono: per usucapione, per dicatio ad patriam, per atto scritto, ossia convenzione tra ente pubblico e privati.
A CHI SPETTA
Quanto alla titolarità del diritto di uso pubblico, in dottrina si discute se di questo sia titolare il Comune o la collettività che gode del bene. La questione, comunque, pare di facile risoluzione: il diritto in parola "spetta" in ogni caso all’Amministrazione comunale, o perché il titolo la riconosce espressamente come titolare del diritto, o perché essa è ente esponenziale, e quindi rappresentante, della collettività nel cui interesse il diritto è posto; resta salva la facoltà, per i singoli membri della collettività ammessa a fruire del bene privato, di agire in giudizio in nome proprio, a difesa del diritto di uso pubblico.
USO PUBBLICO DI PASSAGGIO
La categoria di diritti demaniali di uso pubblico più importante e di maggiore applicazione pratica è quella dell’uso pubblico di passaggio, che, a sua volta, si distingue in due sottoclassi: quella del passaggio sulle vie vicinali di uso pubblico - e cioè sulle strade private soggette a pubblico transito - e quella del passaggio su spiazzi, vicoli, corti di proprietà privata esistenti nelle città e negli agglomerati urbani.
I POTERI DI CUI IL COMUNE È TITOLARE SULLE SUPERFICI PRIVATE GRAVATE DA UN DIRITTO DI USO PUBBLICO
L’assoggettamento di un’area privata a servitù di uso pubblico non comporta, per il proprietario, la perdita del diritto di proprietà del bene, del quale infatti può sempre chiedere la tutela giudiziaria. L’Amministrazione, non essendo titolare del diritto dominicale, bensì di un mero diritto reale parziario su di un bene privato, può, su questo, esercitare unicamente le facoltà dirette a garantire e ad assicurare l’uso pubblico da parte di tutti i cittadini. Essa, dunque, è legittimata a tutelare il diritto stesso: sia in via amministrativa, sia in via giurisdizionale, avvalendosi, di fronte al giudice ordinario, dei mezzi ordinari a difesa del diritto di servitù e del possesso regolati dal codice civile (cfr. art. 823, comma 2, c.c.).
L’Amministrazione non può disporre in ordine alla aree private soggette a servitù di pubblico passaggio oltre i limiti necessari al mantenimento del pubblico transito: non può cioè esercitare, sui medesimi beni assoggettati a diritto di uso pubblico, i poteri che normalmente le spettano sui beni demaniali, come ad esempio, quelli diretti a concedere a singoli privati un uso eccezionale dei medesimi. Dal che discende anche l’impossibilità di concedere l’uso speciale od eccezionale del bene in parola attraverso l’occupazione temporanea o permanente del medesimo.

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di Avv. Federica Miatto e Avv. Irene Ceolin

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