Separazione e divorzio: azione revocatoria e rapporti tra i coniugi


Quando il trasferimento di cespiti immobiliari tra coniugi che si separano può essere revocato da un terzo creditore?
Separazione e divorzio: azione revocatoria e rapporti tra i coniugi

 

Come è noto spesso accade che in sede di separazione e/o cessazione degli effetti civili del matrimonio i coniugi regolino i rapporti patrimoniali prevedendo il trasferimento di cespiti immobiliari dall’uno all’altro.

Nel caso in cui, dopo l’attenuazione e/o scioglimento del vincolo, un creditore, entro i cinque anni dalla trascrizione del trasferimento della proprietà dei cespiti, agisca ai sensi dell’art. 2901 c.c., la giurisprudenza con orientamento consolidato, ha statuito che, salvo prova contraria, detti trasferimenti siano revocabili.

Spesso il debito sorge da fidejussioni prestate, anche in tempi non sospetti o molti anni prima della cessazione del vincolo coniugale.

In caso di trasferimento di proprietà in occasione di separazione o divorzio, vi è una presunzione iuris tantum che detti trasferimenti siano stati eseguiti con finalità elusive.

Nello specifico la Cassazione in una recente decisione (Cass. civ. [ord.], sez. III, 19-02-2020, n. 4175 in Il Caso) ha ribadito il principio che una volta prestata una fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore principale connesse ad un'apertura di credito, gli atti dispositivi del fideiussore (nella specie, la costituzione in fondo patrimoniale degli unici beni immobili di sua proprietà), successivi all'apertura di credito ed alla prestazione della fideiussione, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell'art. 2901 c.c., n. 1, prima parte, in base al fattore oggettivo dell'avvenuto accreditamento (eventus damni), cui deve aggiungersi la consapevolezza del fideiussore di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (scientia damni). Sicché, quando l'atto di disposizione del fideiussore è a titolo gratuito e incida negativamente sulla garanzia patrimoniale generica costituita dal patrimonio del debitore, ex art. 2740 c.c., risultando successivo al sorgere dell'accreditamento fatto dal creditore al debitore principale garantito, si realizza la condizione inerente all'esistenza di un concreto pregiudizio per agire in revocatoria, salvo che il debitore dimostri che l'atto non costituisca un effettivo pregiudizio e abbia una sua propria causa giustificativa.

Ulteriore condizione per l'esercizio dell'azione revocatoria nei confronti del fideiussore è che l'atto, "appaia" compiuto nella ragionevole consapevolezza del pregiudizio, anche solo eventuale, che esso arreca alle ragioni del creditore (scientia damni). La prova sulla scientia damni, peraltro, riguarda un fatto di per sé impalpabile, attinente a quanto avvenuto in interiore homine in ordine alla determinazione soggettiva a effettuare una disposizione patrimoniale in pregiudizio delle ragioni del creditore, normalmente non acquisibile in termini di prova certa. La prova presuntiva, al riguardo, rappresenta il più comune mezzo a disposizione perché in null'altro consiste se non in un ragionamento logico-deduttivo che, sulla base di fatti noti, consente di risalire a fatti ignoti.

Oltre a ribadire concetti ripetutamente posti al vaglio della Suprema Corte, la presente decisione si sofferma sulla validità delle fidejussioni stipulate in conformità allo schema contrattuale (relativamente alle clausole di sopravvivenza, reviviscenza e rinuncia ai termini di cui all'art. 1957 c.c.) giudicato dall'Autorità garante, allora preposta, come frutto di un'intesa orizzontale restrittiva della concorrenza (come da atto di accertamento della Banca d'Italia, n. 55 del 2 maggio 2005) e se tale nullità sia rilevabile d’ufficio e se si incorra in preclusioni e decadenze qualora tale eccezione sia sollevata per la prima volta in sede di legittimità.

La decisione in esame statuisce che “La nullità della fideiussione posta a fondamento dell'azione revocatoria è rilevabile d'ufficio anche in sede di legittimità, ma non può essere accertata sulla base di una «nuda» eccezione, sollevata per la prima volta con il ricorso per cassazione, basata su contestazioni in fatto in precedenza mai effettuate, a fronte della quale l'intimato sarebbe costretto a subire il vulnus delle maturate preclusioni processuali”

Richiamando una decisione resa a Sezione Unite (Cass. Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12 dicembre 2014) in tema di rilievo dell'eccezione di nullità contrattuale, con cui si è sancito che "la domanda di accertamento della nullità di un negozio proposta, per la prima volta, in appello è inammissibile ex art. 345 comma 1, c.p.c., salva la possibilità per il giudice del gravame - obbligato comunque a rilevare di ufficio ogni possibile causa di nullità, ferma la sua necessaria indicazione alle parti ai sensi dell'art. 101 comma 2, c.p.c. - di convertirla ed esaminarla come eccezione di nullità legittimamente formulata dall'appellante, giusta del citato art. 345, il comma 2 (Cass. Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12 dicembre 2014”), il Giudicante è chiamato a rilevare le nullità c.d. “di protezione virtuale” sull’assunto che tale rilievo sia essenziale al perseguimento di valori di rango costituzionale correlati alla tutela di una determinata classe di contraenti (consumatori).

La decisione in esame statuisce poi che “Non potendosi maturare preclusioni o giudicati impliciti in materia di nullità rilevabili d'ufficio, pertanto, il potere di rilievo officioso della nullità del contratto per violazione delle norme sulla concorrenza spetta anche al giudice investito del gravame relativo ad una controversia sul riconoscimento di una pretesa che suppone la validità ed efficacia del rapporto contrattuale oggetto di allegazione, e che sia stata decisa dal giudice di primo grado senza che questi abbia prospettato ed esaminato, né le parti abbiano discusso, di tali validità ed efficacia, trattandosi di questione afferente ai fatti costitutivi della domanda ed integrante, perciò, un'eccezione in senso lato, rilevabile d'ufficio anche in appello, ex art. 345 c.p.c. (cfr. Sez. U -, Sentenza n. 7294 del 22 marzo 2017; Cass. 6 n. 8841/017; Cass. 6 n. 19251/018).”

Esaminando l’eccezione di nullità del contratto posto a fondamento dell’azione revocatoria la Suprema Corte rileva “la possibilità di rilievo d'ufficio della nullità riguarda anche il giudizio di legittimità, pur dovendosi sottolineare i limiti che tale rilievo può incontrare in tale sede, ex art. 372 c.p.c.. Con riguardo alla eccezione di nullità negoziale sollevata solo in sede di giudizio di legittimità, certamente rilevabile d'ufficio per espresso disposto dell'art. 101, par 2, Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (ex art. 81, 2 TCE) (da cui deriva la Legge Nazionale n. 287 del 1990, posta a garanzia della libera concorrenza tra imprese e operatori economici), occorre infatti avere riguardo agli "effetti derivati" della nullità di un'intesa anticoncorrenziale di tipo orizzontale, intervenuta tra i vari operatori economici di un determinato settore, rilevando se gli effetti distorsivi si siano effettivamente trasferiti sui negozi stipulati "a valle" dell'intesa illecita. E su questo punto, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che dalla declaratoria di nullità di una intesa tra imprese per lesione della libera concorrenza, emessa dalla Autorità Antitrust ai sensi della L. n. 287 del 1990, art. 2, non discende automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all'intesa".

Si rende, quindi, necessario, per eccepire la nullità del contratto di garanzia, valutare caso per caso se tale contratto quale presupposto dell’azione revocatoria, sia o meno conforme ai moduli uniformi predisposti da ABI già ritenuti illeciti.

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di Avv. Loredana Ermia

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