Pianificare a priori il tetto massimo di perdite sostenibili


Quando si vuole avviare un nuovo progetto spinti dall’euforia dovuta al successo del business occorre riflettere sulle possibili conseguenze di un insuccesso imprevisto
Pianificare a priori il tetto massimo di perdite sostenibili

 

Lo spunto per scrivere questo articolo mi è stato dato dal d.lgs. 14/2019, il cosiddetto “sblocca cantieri”, che ha finalmente dato attuazione alla L. 155 del 19/10/2017 in tema di riforma della crisi di impresa.

Uno degli elementi fondanti della riforma del codice della crisi di impresa è l’introduzione dell’obbligo dell’adozione dell’Organo di Controllo, sia esso un sindaco unico o un revisore legale per tutte le S.r.l. che superino per due esercizi consecutivi almeno uno dei seguenti parametri:

•    ricavi superiori a 4 milioni di euro;

•    attivo patrimoniale superiore a 4 milioni di euro;

•    numero di dipendenti occupati in media durante l’esercizio pari a 20 unità.

Sempre con l’attuazione del nuovo codice della crisi di impresa non esisterà più il termine fallimento, verranno depenalizzate alcune fattispecie che, fino ad oggi, prevedevano la configurazione del reato di bancarotta in carico all’imprenditore e si dovrebbe agevolare il recupero dell’attività di impresa, che sarebbe stata altrimenti irrimediabilmente compromessa.

Da alcuni mesi molti commercialisti, avvocati e giornalisti, scrivono che si tratta di una svolta epocale perché obbligherà la gran parte delle imprese a nominare un Organo di Controllo. Ciò comporterà come conseguenza la strutturazione o l’adeguamento della funzione amministrativa in modo tale da adottare tecniche di pianificazione industriale ed economica, oltre al controllo di gestione attraverso la predisposizione di budget e prospetti di cash flow.

Se ciò sarà vero lo vedremo dopo il 15/8/2020, data di cessazione del regime transitorio, così come avremo modo di valutare l’efficacia del nuovo codice.
Quello che risulta immediatamente evidente è che questa norma coinvolge le imprese che hanno comunque una dimensione più strutturata, ma tutte le altre che risultano escluse dall’adozione dell’Organo di Controllo cosa faranno? Si convinceranno a strutturarsi da un punto di vista amministrativo? La risposta a questa domanda è chiaramente difficile; tuttavia l’esperienza acquisita negli anni mi porta a pensare che sia molto improbabile.

Il rifiuto degli imprenditori medio piccoli non solo ad adottare, ma finanche accettare principi di fatto basilari nel mondo aziendale, è cosa nota. Essi vedono gli impiegati amministrativi come un costo improduttivo ed i principi di corretta amministrazione come delle intollerabili restrizioni alla loro autonomia imprenditoriale.  

Nello svolgersi della mia attività professionale, sia in veste di consulente dell’impresa che di membro del collegio sindacale, mi sono trovato spesso in situazioni in cui gli imprenditori, normalmente in momenti di forte euforia per il positivo andamento della loro attività, mi hanno sottoposto nuovi progetti.

Nell’esaminarli la prima domanda che ho posto loro è sempre stata la seguente: qual è il tetto massimo di perdite che siete disposti a sostenere?

 

Qual è il tetto massimo di perdite che siete disposti a sostenere?

Questa domanda talvolta spiazza l’interlocutore, ma in alcuni casi ha contribuito in maniera determinante ad aprirgli gli occhi e prevenire il verificarsi di successive patologie, che avrebbero potuto poi sfociare in autentici disastri. E’, infatti, raro che il modello di business che ci viene sottoposto sia coerente con l’attività già esercitata, anche perché altrimenti verrebbe gestita con l’impresa già esistente e collaudata.

Diversi colleghi hanno criticato questa impostazione affermando che, invece, bisogna incentivare il processo di creatività dell’imprenditore ed assecondare i suoi progetti.
Il punto è che alle fasi di euforia dettate dal successo del business, prima o poi si succedono quelle di patologia, non sempre causate dalle scelte imprenditoriali sbagliate, ma anche da cause esogene ed indipendenti.

Detto più colloquialmente, i sogni cessano all’alba, i debiti no.

Bisogna, infatti, ricordare che la riforma del fallimento attraverso l’adozione del codice della crisi non si applica nei confronti di quei debiti che sono garantiti da fidejussioni personali.

Queste ultime poi impattano non solo sull’impresa, ma anche e soprattutto sulla vita futura dell’imprenditore e della sua famiglia.

Tutto ciò premesso, è l’imprenditore che deve rispondere a questa domanda, è compito nostro, invece, dare i suggerimenti che l’orientino per il meglio.

Un primo suggerimento è quello di tenere separato il business tradizionale da quello che si vuol perseguire con il nuovo progetto. Un buon passo in questa direzione è quello di creare una società ad hoc per questo nuovo business. La società verrebbe messa poi in condizione di operare attraverso un finanziamento fatto dall’imprenditore o dalla sua società in attesa di ricevere delle linee di credito almeno per lo sconto delle fatture attive.
Già a questo livello è ipotizzabile il tetto massimo di perdite, che potrebbe corrispondere al finanziamento erogato.

Va anche analizzata in profondità la composizione della compagine sociale: gli altri soci sono operativi? Hanno specifiche conoscenze tecniche e, soprattutto, manageriali nel settore scelto? Quali poteri conferire loro in qualità di amministratori? E’ opportuno che il nostro cliente entri nel CdA e, in caso affermativo, con quali poteri? In fase di analisi del progetto bisogna, infatti, cercare di capire i termini di svolgimento della nuova attività e comunicare al cliente che il suo coinvolgimento come amministratore può sottrarre tempo prezioso, che sarebbe probabilmente necessario alla sua attività già esistente.
Se invece il progetto imprenditoriale sconfina in ambiti non familiari all’attività istituzionale dell’imprenditore, ipotesi questa tutt’altro che infrequente, è probabile che l’attività venga materialmente esercitata dall’altro/i  socio/i.
E’  consigliabile in questi casi convincere il cliente che più che uno sviluppo della sua attività egli sta valutando un investimento finanziario; diventa, quindi, opportuno prospettargli l’eventualità di entrare nella compagine sociale come persona fisica, valutare attentamente se è il caso di farlo entrare anche nel Consiglio di Amministrazione, posto che in casi come questi l’amministrazione disgiunta è un’opzione tanto impercorribile quanto inopportuna, e determinare a priori il tetto massimo di finanziamenti che, nella veste di socio, si è disposti ad immettere. E’ appena il caso di dire che è il caso di condividere a priori con il proprio consulente i termini dell’operazione e, di conseguenza, l’importo massimo erogabile senza compromettere l’assetto della propria famiglia.
Stabilire il tetto massimo delle perdite sostenibili rende implicita l’indisponibilità a concedere fidejussioni ad istituti di credito o finanziari.

E’ perciò compito del consulente preparare il cliente, oltre che patrimonialmente, anche psicologicamente all’eventualità di abbandonare il business al suo destino, se dovesse rivelarsi non profittevole o comunque non conforme alle premesse iniziali.

 

Articolo del:


di Dott. Enrico Gigliucci

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