La proposta shock(ca!) del premier sulla riduzione a due gradi di giudizio

Seguendo il perdurante trend molto in voga negli ultimi mesi tra i politici, consistito nel dichiarare ad ogni piè sospinto di voler ridurre i tempi dei processi, il Premier nel corso della conferenza stampa di fine anno ha dichiarato: "Abbiamo già varato un disegno di legge delega per l’abbreviazione dei tempi della giustizia civile, stiamo lavorando a quella penale (vedendo la riforma della prescrizione recentemente varata in ambito penale, sembrerebbe il contrario, vista l'alta probabilità per noi operatori del diritto, di dover spiegare ai nostri assistiti che per loro si profila un processo penale, come direbbe il grande Gino Paoli, "senza fine" n.d.r.), ma dobbiamo mettere mano a quella tributaria. Il mio obiettivo è ridurre un grado di giudizio, sarebbero sufficienti due gradi”.
La proposta ha subito messo in allarme avvocati e commercialisti, perché di primo acchito, la sensazione è che il tentativo di perseguire la "ragionevole durata del processo" tanto cara alla nostra Costituzione – art. 111 – avvenga a colpi di scure sui diritti dei cittadini.
In questa sede, vogliamo cercare di analizzare senza pregiudizi ideologici la proposta avanzata dall'Avvocato del Popolo, apparentemente più volta a riguadagnare un consenso che, forse, è oramai definitivamente perduto, che a risolvere un problema reale.
In primo luogo va sfatato un mito.
Nel nostro ordinamento in realtà i gradi di giudizio "pieni" sono solamente due.
Il terzo grado di giudizio, soprattutto in materia civile – e tributaria –, alla luce di numerose modifiche legislative che negli ultimi tre lustri ha subito il procedimento che si instaura dinanzi alla Corte di Cassazione, è un giudizio sempre più di strettissima Legittimità (quelli che parlano e scrivono bene, la chiamerebbero "funzione nomofilattica" della Cassazione). Pertanto la Cassazione non può più entrare nelle valutazioni di merito svolte dai giudici del primo e secondo grado, né entrare se non in limitatissimi casi, nella motivazione dei suddetti procedimenti, anche se illogica, incompleta, financo inesistente. Per fare un esempio concreto, ove i giudici di primo e secondo grado avessero ritenuto – sbagliando – che un medico che ha un computer e una stampante, riceve i pazienti in piccolo studio medico, in compartecipazione con altri collegi e dove lavora una segretaria che prende fissa gli appuntamenti per tutti i medici che lavorano lì, debba pagare l'IRAP (imposta che si calcola non sul reddito ma sul volume d'affari e che trova la sua ragion d'essere in una stabile organizzazione imprenditoriale e aziendale da parte del soggetto che è tenuto a pagarla – di solito le società e le imprese commerciali – in quanto questi pochi elementi configurano quella stabile organizzazione aziendale di cui si è detto poc'anzi, la Cassazione non potrebbe entrare in questa valutazione e, quindi, il ricorso verrebbe dichiarato inammissibile, come oramai avviene per molti ricorsi civili e moltissimi penali.
Venendo ora all'idea di avere solo "due" (facciamo finta che quel che si è scritto poche righe fa non sia vero) gradi di giudizio, di per sé non è né buona né cattiva, così come non esiste un sistema elettorale giusto e uno sbagliato: vanno sempre valutati nel contesto socio-culturale del paese in cui vengono utilizzati.
Non a caso, ad esempio, in ambito amministrativo i gradi di giudizio sono solo due. Il primo dinanzi al Tribunale amministrativo regionale ed il secondo dinanzi al Consiglio di Stato.
E sempre ad esempio, in paesi come la Gran Bretagna e la Francia, in ambito penale, esistono solo due gradi di giudizio.
Il problema, quindi, non è se i due gradi di giudizio siano una cosa buona o cattiva in sé.
Il problema è che in quei paesi il numero dei processi è enormemente più basso che da noi. Si racconta – il fatto è assai noto ma lo riproponiamo – che gli Avvocati del solo Foro di Roma, a cui, indegnamente, appartiene anche chi scrive, siano in numero superiore al numero di avvocati che lavora in tutta la Francia.
Questo dato altro non è se non il frutto, da un lato, dall'alto grado di litigiosità degli italiani (la politica docet!) e, dall'altro, dall'appetibilità economica (una volta!) e dal prestigio (sempre una volta!) che suscitava soprattutto nelle classi sociali medio-basse la professione forense.
Di contro, chiunque abbia messo piede in un ufficio giudiziario, non avrà potuto non notare la mole di procedimenti e fascicoli che ogni giudice deve valutare e decidere, molti dei quali particolarmente complessi e con un numero di documenti allegati imponente.
Questo, comporta, come effetto prevedibile, quasi fisiologico, una mole di errori giudiziari incredibile.
Chiunque abbia letto una sentenza della Commissione Tributaria Provinciale (il primo grado in materia tributaria) anche su questioni di valore alquanto elevato, avrà notato come spesso le commissioni scrivano motivazioni di poche righe, che in alcuni casi rasentano l'assenza di motivazione o addirittura la motivazione c.d. Apodittita (insomma, per capirci: "Hai ragione perché...hai ragione"!).
In questo contesto, il vaglio di un giudice di secondo grado, il quale valuti nel merito i possibili, frequenti, errori marchiani di chi lo ha preceduto, non è solamente frutto di un afflato di giustizia, un desiderio di una legge "uguale per tutti", ma è un vero e proprio baluardo alla tenuta del sistema, che deve evitare che esistano precedenti abnormi, stravaganti, creativi, curiosi, politicizzati... potremmo andare avanti a lungo a definire molte sentenze che vengono emesse dai nostri uffici giudiziari, nei quali, ricordiamolo sempre, "il giudice è soggetto solo alla legge" (art. 101 della Costituzione) quindi i precedenti, fossero anche della Cassazione a Sezioni riunite, possono per lui valere meno di un amichevole suggerimento, un buffetto sulla spalla.
Ultima annotazione tecnica.
In ambito tributario, il giudizio di primo grado dura di solito un'udienza (due se fissano quella di sospensione cautelare dei provvedimenti impugnati; a Roma, ad esempio, non la fissano mai). Il giudizio di appello, sempre una udienza (al massimo due, come nel giudizio di primo grado). Indovinate quante udienze dura il giudizio di cassazione? Due??? Sbagliato! Solo una, in cui si discute la causa (in alcuni casi anche nessuna udienza, perché in caso di inammissibilità del ricorso o manifesta infondatezza, la Cassazione può decidere senza convocare noi avvocati!).
Non credo che serva un sofisticato giurista per comprendere che la durata dei processi non dipenda dal numero di udienze, ma da quante cause ogni giudice deve decidere. Appare molto curioso che di questo aspetto, l'illustre giurista che guida l'esecutivo non si sia accorto. O forse, da Avvocato del Popolo, si sta sempre più trasformando in Avvocato dell'Apparato!!!
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