L'adeguatezza del risarcimento quale parametro per la messa alla prova

Con la sentenza n. 34878/2019, depositata in data 30/07/2019, la Seconda Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza con cui il Tribunale di Arezzo aveva disposto la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato e disposto la trasmissione degli atti al Giudice di merito per una nuova valutazione del caso.
La decisione è intervenuta a fronte del ricorso presentato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Arezzo, mediante il quale sostanzialmente veniva denunciata l’errata applicazione della legge penale e il difetto di motivazione della sentenza, nella parte in cui il Giudice di prime cure aveva ritenuto congruo l’importo offerto alla vittima per il danno cagionatole, limitandosi a considerare la sola dichiarazione proveniente dall’imputato sulle proprie condizioni economiche e sociali.
Alla luce di tale dichiarazione, il Tribunale aveva ritenuto “adeguata” la somma proposta e, quindi, disposto la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato.
La censura della Procura, infine, condivisa dalla Cassazione, si fonda sull’errata interpretazione degli articoli 168 bis c.p. e 464 bis c.p.p., nella parte in cui subordinano “…ove possibile…” la messa alla prova al risarcimento del danno in favore della persona offesa.
L’inciso presente nella prima delle due disposizioni normative non deve indurre a ritenere il risarcimento del danno quale presupposto eventuale, in quanto deve sussistere al pari degli altri requisiti previsti, ma semplicemente legittima il Giudice a operare una rigorosa valutazione degli elementi raccolti e bilanciare le esigenze economiche della vittima con l’effettiva disponibilità economica dell’imputato.
Solo all’esito di una completa istruttoria, che non si accontenti della unilaterale dichiarazione dell’imputato, potrà ritenersi congruo anche un importo irrisorio rispetto al danno economico prodotto dal reato ai danni della vittima.
Incombe sul Giudice l’obbligo di indagare le reali condizioni economiche dell’imputato, anche ricercando informazioni come previsto dall’art. 464 bis, comma 5, c.p.p. e, all’esito, motivare sull’adeguatezza della somma proposta.
La sola dichiarazione dell’imputato, quindi, non potrà essere ritenuta sufficiente per decidere sulla richiesta di messa alla prova.
Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ha, quindi, stabilito che “…il giudice, piuttosto che attestarsi sulle dichiarazioni del…avrebbe dovuto allora attivare i propri poteri di indagine proprio al fine di verificare la effettività delle condizioni economiche e patrimoniali dell’imputato e valutare, a quel punto, se quella somma fosse espressione del “massimo sforzo” pretendibile e, per questa ragione, apprezzabile”.
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