Il vero nodo del passaggio generazionale nell'impresa familiare


Il passaggio generazionale e la continuità imprenditoriale sono passaggi che vanno ben oltre le modalità di trasferimento dell’attività al successore
Il vero nodo del passaggio generazionale nell'impresa familiare

Negli ultimi tempi si è tornato a parlare con una certa insistenza del passaggio generazionale nell’impresa familiare, soprattutto attraverso la stampa specializzata.

L’insistenza è stata tale che anche la Commissione Diritto Tributario dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Milano, di cui faccio parte, ha avvertito l’esigenza di approfondire l’argomento per poi organizzare, di concerto con la Commissione Diritto Societario, un convegno riservato agli iscritti. Le riunioni che abbiamo tenuto per individuare ed analizzare gli aspetti più pregnanti del passaggio generazionale nell’impresa familiare, da coordinare con gli aspetti del codice civile che regolano il diritto societario nonché il diritto successorio (la quota di legittima), mi hanno portato ad esperire, in base alle mie esperienze professionali, una serie di considerazioni che riporto in questo articolo. Quanto scriverò di seguito non ha quindi finalità didascaliche o divulgative; è il frutto di riflessioni e considerazioni personali

Quando si parla di passaggio generazionale si sottintende che è stato individuato uno (od anche più di uno) figlio o nipote che è in grado di continuare l’attività imprenditoriale a scapito degli altri. Si cerca allora di agevolare il suo subentro in modo indolore, in particolare ai fini della ripartizione dell’eredità. Si ipotizza allora la costituzione di una holding oppure una subholding cuscinetto tra la proprietà e l’azienda operativa, anche con modalità che ho già avuto modo di esporre nell’articolo "Scissione societaria, la tutela patrimoniale dei beni dal rischio di impresa".

Si tratta di ipotesi che, alla prova dei fatti, riempiono la bocca, rischiano di prosciugare il portafoglio e, soprattutto, il più delle volte risultano semplicemente inattuabili. Vediamo perché.

Le dimensioni dell'azienda

Le imprese con un fatturato non superiore a 2 milioni di euro ed un numero di addetti non superiore alle 10 unità sono definite microimprese

Le imprese con un fatturato non superiore a 10 milioni di euro ed un numero di addetti non superiore alle 50 unità sono definite piccole imprese

Le imprese con un fatturato non superiore a 50 milioni di euro ed un numero di addetti non superiore alle 250 unità sono definite medie imprese

Siccome la stragrande maggioranza del tessuto imprenditoriale italiano è costituito da microimprese la necessità di pianificare il passaggio generazionale perde molto del suo significato.

Il compito principale del passaggio generazionale è infatti quello di individuare colui che porterà avanti l’attività di impresa e, nel contempo, garantire ai familiari esclusi la percezione di una rendita annuale attraverso l’erogazione dei dividendi. Cosa di fatto irrealizzabile in società che fatturano meno di 10 milioni di euro, tenendo conto dei costi da sostenere per raggiungere quel livello di fatturato e delle tasse da pagare sull’utile d’esercizio prima che diventi disponibile per i soci.

Vengono quindi meno tutte le considerazioni che normalmente si fanno in sede di passaggio generazionale; mi riferisco ai patti di famiglia regolati dall’art 768 e seguenti del c.c, ai patti parasociali e agli accordi sulla governance, ivi compreso il divieto di sottoscrivere aumenti del capitale sociale per non diluire la quota di alcuni familiari soci.

Mi è anche successo di assistere a delle operazioni congegnate come dei veri e propri leverage buyout, in cui l’erede designato costituisce una società apposita con un limitato apporto di risorse proprie e poi ottiene un finanziamento da parte di uno o più istituti di credito, a cui cede in pegno le quote della società in questione. Il finanziamento concesso verrebbe ripagato attraverso i flussi di cassa generati dalla società acquisita, che è già avviata ed in fase matura di gestione.

Si capisce subito che un’operazione di questo tipo, quando si ha a che fare con micro o piccole imprese, ha scarsissime possibilità di riuscita. Bisogna, inoltre, tenere in debita considerazione il fatto che in questo tipo di operazioni in molti casi può essere contestata la norma generale antielusiva legata all’abuso del diritto, con conseguenze facilmente intuibili.

Un’operazione così congegnata, oltre a richiedere volumi di fatturato almeno da media impresa, ha significato in caso di un numero diffuso di soci, cosa che nell’impresa familiare, almeno di prima e seconda generazione è altamente improbabile.

La via maestra da percorrere in caso di micro o piccola impresa è certamente quella della vendita della stessa al subentrante. È consigliabile che il subentrante non acquisisca le quote come persona fisica ma attraverso una società da lui costituita; così facendo esclude gli altri familiari non designati ed azzera di fatto il rischio di frizioni successive.

L’individuazione del successore

È senza alcun dubbio l’aspetto più delicato nell’ambito del passaggio generazionale nelle imprese di famiglia. L’imprenditore deve avere intuito, visione prospettica, predisposizione mentale al cambiamento ed all’innovazione, oltre ad una certa sensibilità. Queste doti, a parole, le abbiamo tutti; nella realtà sono ben pochi ad averle.

Il punto nodale non risiede nell’erede designato ma in colui che sente giunto il momento di passare la mano. Ha trasmesso la giusta passione all’erede? Ha verificato che si comportasse di conseguenza, oppure lo ha genericamente investito del ruolo affidandogli le mansioni e disinteressandosi del resto?

Uno dei problemi che si verificano più frequentemente in sede di passaggio generazionale è costituito dal carattere e dall’atteggiamento del designato. La convinzione di essere grande imprenditori spinge molti a adottare atteggiamenti tanto arroganti quanto superficiali

La percezione di essere infallibile e, quindi, la sordità di fronte ai segnali in direzione opposta che giungono, sovente unita all’inspiegabile desiderio di sovvertire tutto l’assetto e l’operatività aziendale, pur non essendovi nessuna necessità di farlo, sono le bucce di banana più comuni.

Non sono le sole.

Ci sono eredi che hanno l’umiltà di ascoltare rimproveri e consigli, ma ciò non è abbastanza. Alcuni, ad esempio, sono vocati esclusivamente alle vendite. Pensano solo a trovare modi per incrementare il fatturato, senza avere alcuna sensibilità per l’equilibrio di gestione ed i rapporti con gli enti finanziari.

È possibile fare molti altri esempi, che mi astengo dallo scrivere per evitare di risultare prolisso; lascio all’immaginazione del lettore ipotizzare quali possano essere.

Mi limito invece ad evidenziare che il passaggio generazionale nell’impresa familiare è stato, negli ultimi 5/10 anni, sostanzialmente fallimentare. I neoimprenditori più fortunati oggi si trovano in concordato, il destino di tutti gli altri si evince dalle carcasse dei capannoni disseminati lungo le strade provinciali oppure nelle aree industriali ormai diroccate.

Il ruolo del Dottore Commercialista

È un’affermazione volutamente provocatoria.

Il consulente non può materialmente avere un ruolo nei rapporti tra l’imprenditore uscente e quello subentrante. In particolare, se la struttura dell’azienda è tale per cui si programmano 2/3 incontri all’anno per discutere del bilancio, degli aspetti gestionali e per il resto ci si affida alla consulenza a distanza. Tralascio il fatto che non si ha titolo alcuno per intromettersi nei rapporti padre figlio/nipote e, men che meno, sui sistemi educativi, quindi non parliamo solo della sfera imprenditoriale, che vengono impartiti.

A certe condizioni, tuttavia, rientra nell’ambito dell’incarico professionale anche il segnalare, sempre nell’ambito del proprio mandato, gli elementi di disturbo o gli aspetti che, in qualche modo, possono sconsigliare il passaggio dell’azienda di famiglia a colui che l’imprenditore avrebbe individuato come suo successore.

Alcune di queste modalità ho già avuto modo di descriverle nell’articolo "Pianificare a priori il tetto massimo di perdite sostenibili", le altre sono facilmente individuabili dalla sensibilità del consulente e dalla contingenza.

Conclusioni

Ricapitolando, i veri nodi del passaggio generazionale possono essere così sintetizzati:

  • È consigliabile procedere alla vendita diretta dell’azienda all’erede designato in modo da tagliare fuori in maniera legittima ed incontestabile tutti gli altri eredi, garantendo comunque la congruità della quota di legittima spettante.

  • È necessario intraprendere un percorso educativo del subentrante che non si limiti esclusivamente agli aspetti manageriali ma si estenda anche, e soprattutto, a quelli caratteriali

  • Il consulente dovrebbe fungere da supporto a questo processo avendo anche il coraggio di dissuadere l’imprenditore nel caso reputi, con cognizione di causa, il subentrante inidoneo.

Articolo del:


di Dott. Enrico Gigliucci

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