Il pignoramento dei compensi dell'amministratore


Il compenso dell'amministratore sociale è interamente pignorabile perché è un lavoratore autonomo e non parasubordinato
Il pignoramento dei compensi dell'amministratore
Con la sentenza n. 1545 del 20.01.2017 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, cui è affidato il compito di risolvere i dubbi interpretativi ed applicativi della legge espressi da precedenti sentenze contrastanti delle Sezioni semplici, impartendo le corrette modalità di decisione delle questioni di diritto al resto della magistratura, si sono espresse sull'annosa questione vertente l'esatta ricostruzione del rapporto contrattuale fra società ed amministratore sociale.
Nel caso sottoposto alla sua attenzione il Collegio si è trovato a decidere in merito all'impugnazione di un'ordinanza di un Giudice dell'esecuzione, il quale, in sede di opposizione all'esecuzione, aveva stabilito che i crediti pignorati all'amministratore sociale presso la società amministrata, costituenti il suo compenso per l'attività gestoria prestata, rientrerebbero nei casi di impignorabilità relativa di cui all'art. 545 c.p.c., potendo dunque essere assegnati al creditore dell'amministratore solo nel limite di un quinto del loro complessivo importo.
In proposito, la Corte ha ricordato che tale limite, originariamente previsto dal D.P.R. n. 180 del 1950 per i compensi dei soli impiegati pubblici, è stato nel tempo esteso dal Legislatore al settore del lavoro privato e, in conseguenza di tale equiparazione, la Corte di Cassazione ha affermato che anche ai rapporti di lavoro parasubordinato, di cui all'art. 409, n. 3, c.p.c., debbano trovare applicazione i limiti di pignorabilità di cui al quarto comma dell'art. 545 c.p.c.; limiti pacificamente non estendibili anche ai corrispettivi per i contratti di lavoro autonomo o d'opera professionali.
Per risolvere la suddetta questione, dunque, il Supremo Collegio ha confrontato le due tesi contrapposte circa il corretto inquadramento del rapporto in questione: l'una, contrattualistica, che ascrive il rapporto nell'alveo del contratto di mandato, di lavoro o atipico; l'altra, detta teoria organica, che ponendo l'accento sul fenomeno di immedesimazione organica (per cui l'amministratore esprime all'esterno la volontà e l'azione della società amministrata), nega qualsiasi distinzione fra società ed amministratore, ritenendo che ogni conseguente questione debba esser risolta con gli istituti ordinari del diritto societario.
Ebbene, le Sezioni Unite, premesso che nel 1994 avevano stabilito per la sussistenza di un rapporto di lavoro parasubordinato, hanno osservato che con la riforma del diritto societario l'amministratore è figura egemone e, dunque, non risulta più soggetto a quell'attività di coordinamento richiesta dall'art. 409 n. 3 c.p.c. per la configurabilità della parasubordinazione, dovendo piuttosto propendersi per il riconoscimento di una prestazione d'opera professionale.
In tal senso, secondo la Corte, depone anche il testo dell'art. 3, comma 2, lett. a) del D.lgs. n. 168 del 2003, nella parte in cui, delineando l'ambito di cognizione del Tribunale delle imprese, ricomprende i "rapporti societari ivi compresi quelli concernenti l'accertamento, la costituzione, la modificazione o l'estinzione di un rapporto societario": proprio in tale alveo deve, dunque, esser ricondotto il rapporto fra amministratore e società amministrata, sebbene sia compito del giudice di merito valutare, caso per caso, se in concreto non sussista un rapporto di lavoro di qualche tipo.

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di Avv. Gabriele Orlando

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