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Danno morale nelle lesioni micropermanenti


In questo articolo analizziamo il danno morale nelle lesioni micropermamenti, l'art 139 del codice delle assicurazioni, i limiti risarcitori e alcuni casi concreti
Danno morale nelle lesioni micropermanenti

L’art. 139 del codice delle assicurazioni disciplina la criteriologia di quantificazione del danno non patrimoniale per lesioni di lieve entità, ovvero, menomazioni comportanti postumi di entità pari o inferiore al 9%.

Il calcolo tabellare di tale voce risarcitoria, da determinarsi secondo i parametri di cui al comma 4 della predetta disposizione, può essere aumentato, in base al comma 3 dell’art. 139 cod. ass., dal Giudice fino al 20% con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato “qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati ovvero causi o abbia causato una sofferenza psicofisica di particolare intensità”.

L’ultima parte del terzo comma statuisce, infine, che l’ammontare “complessivo” del risarcimento riconosciuto secondo i criteri della predetta norma è “esaustivo” del risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a lesioni fisiche.

Interpretazione della norma da parte della più recente giurisprudenza di merito

Un’interpretazione letterale dell’art. 139/3 del codice delle assicurazioni delinea, innanzitutto, i casi in cui è consentita, da parte del Giudice, l’integrazione dei valori tabellari del danno biologico e segnatamente:

  • nel caso in cui le lesioni abbiano provocato nel danneggiato una sofferenza soggettiva di particolare intensità (si pensi, ad esempio, alle ipotesi di fratture vertebrali, alle infrazioni costali e a tutti i casi di fratture o di distorsioni con interessamento dei legamenti);

  • nell’ipotesi in cui sia dimostrato che le menomazioni subite abbiano provocato un peggioramento delle condizioni di vita personali del lesionato (si pensi alla frattura del polso di un tennista amatoriale che non possa più praticare il predetto sport con gli amici).

Casi concreti

Orbene, in via esemplificativa, il Giudice di Pace di Reggio Emilia, nella sentenza n. 1049/2021 pubblicata in data 2 agosto 2021 ha fornito una corretta interpretazione del dettato della norma sopra richiamata.

In effetti, a fronte della frattura delle ossa nasali e di un rilevante danno odontoiatrico subito da una signora, quantificato dal CTU nella misura del 7% quanto al danno biologico permanente oltre ad un danno temporaneo di circa 80 giorni, il Giudicante, dopo aver monetizzato il danno biologico tabellare complessivo in circa 11.000,00 euro, ha liquidato l’ulteriore importo di 2.200,00 euro (pari al 20% della somma del danno permanente e temporaneo) quale voce di danno morale, stante la sofferenza patita dall’attrice in esito al sinistro.

Più articolato è, al contrario, il caso deciso dal Tribunale di Parma nella sentenza n. 1056/2021 pubblicata in data 29 luglio 2021. Nella predetta fattispecie un’anziana signora, titolare di una scuola di ballo, aveva riportato un trauma alla colonna vertebrale da cui era derivato un danno biologico permanente nella misura del 6,5% oltre ad un’incapacità temporanea di 67 giorni. Le prove orali avevano confermato che, in conseguenza delle lesioni subite, la stessa aveva avuto un netto peggioramento della vita quotidiana (ad esempio doveva, per muoversi, fare uso del bastone).

Il consulente d’ufficio, inoltre, precisava che le menomazioni subite incidevano sull’attività lavorativa della lesionata e, pur non concretizzando un danno alla specifica capacità lavorativa, comportavano una maggior usura lavorativa configurando la cosiddetta “cenestesi lavorativa” da valutare in sede di quantificazione del danno biologico.

Orbene, in siffatta situazione, il Tribunale, a fronte di un danno biologico tabellare complessivo (permanente e temporaneo) quantificato in 8.444,38 euro ha riconosciuto un’integrazione, per danno non patrimoniale, di 1.266,00 euro pari al 15% del danno biologico accertato.

Riflessioni conclusive

L’analisi delle sentenze sopra citate fornisce agli operatori del diritto alcune certezze e qualche perplessità. Innanzitutto, è ormai incontestato che, in base al 3 comma dell’art. 139 del codice delle assicurazioni, il Giudice opera l’aumento del valore tabellare del danno biologico di cui al comma 4 della predetta norma sull’ammontare complessivo dello stesso (danno permanente e temporaneo) e non solo sul danno permanente.

Parimenti, il Giudicante può operare la predetta integrazione, nell’ipotesi in cui venga allegata una sofferenza psicofisica di particolare intensità, su basi presuntive, ovvero, sulla scorta delle prove raccolte, qualora venga dimostrata l’incidenza in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali.

Qualche dubbio interpretativo nasce, invece, dall’esame della sentenza pronunziata dal Tribunale di Parma secondo cui il tetto massimo pari al 20% di personalizzazione del danno non patrimoniale in caso di lesioni micropermanenti riguarda anche il danno da “maggior usura lavorativa”. In effetti, secondo la giurisprudenza costante del Supremo Collegio, la c.d. cenestesi lavorativa, ovvero l’incidenza delle lesioni sull’attività lavorativa del soggetto, che non comporta una perdita patrimoniale, giustifica un aumento della quantificazione del danno biologico.

Tuttavia, la cenestesi lavorativa è una fattispecie non disciplinata dall’art. 139 comma 3 del codice delle assicurazioni che, come detto, ai fini dell’aumento personalizzato del danno biologico, valuta unicamente la sfera personale dell’individuo (sofferenza fisica soggettiva e aspetti dinamico relazionali personali).

È, allora, auspicabile un atto di coraggio da parte degli operatori del diritto e dell’Autorità Giudicante la quale, nei casi in cui il CTU rilevi la sussistenza, in conseguenza delle menomazioni subite da un soggetto, di un danno da maggior usura lavorativa, dovrebbe operare un’integrazione del danno biologico tabellare ulteriore e maggiore rispetto a quella prevista dal comma 3 dell’art. 139 del codice delle assicurazioni.

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