Cartelle esattoriali ed estratti di ruolo, novità normative

L’opposizione all’esecuzione esattoriale è ammissibile sia qualora si tratti di entrate non tributarie (avendo il d.lgs 46 del 1999 modificato il d.p.r. 603/73), sia qualora si tratti di entrate tributarie (si richiama la sentenza resa dalla Corte Costituzionale n. 114 del 31/5718 con cui si è dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 57, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 in materia di “Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito”, come sostituito dall’art. 16 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 in materia di “Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo”, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337, nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all’avviso di cui all’art. 50 del D.P.R. n. 602 del 1973, sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 615 del codice di procedura civile).
Rispetto ad una pretesa esattoriale si può dedurre la mancata notificazione del verbale o della ordinanza ingiunzione (Cass. Sez. Unite 562 del 10/8/2000) ovvero fatti sopravvenuti alla formazione del titolo (PAGAMENTO; PRESCRIZIONE; MORTE DELL’INTIMATO).
Si possono anche eccepire VIZI DI REGOLARITA’ FORMALE DELLA CARTELLA ESATTORIALE (ad esempio nel caso in cui si contestino o si adducano vizi di forma del procedimento di esecuzione esattoriale, compresi i vizi strettamente attinenti la notifica della cartella).
Con la sentenza resa dalla Cassazione a Sezioni Unite in data 22/09/17 n. 22080, quando la parte contesti la mancata notifica del verbale o dell’ordinanza ingiunzione, deve agire ai sensi e per gli effetti, nonchè nei modi, forme e termini di cui alla legge 689/81, proponendo ricorso dinanzi al Giudice di Pace del luogo ove l’infrazione è stata commessa, nel termine di giorni 30 dalla notifica della cartella esattoriale o dalla acquisizione dell’estratto di ruolo.
Se, invece, il destinatario della cartella esattoriale intende contestare i fatti sopravvenuti alla formazione del titolo dovrà proporre una opposizione ex art. 615 c.p.c. , instaurando un giudizio, con citazione, qualora l'opposizione non sia ancora iniziata, dinanzi al Giudice competente ai sensi degli artt. 26 e 27 c.p.c. (Giudice di Pace se trattasi di materie sottoposte alla sua cognizione; Tribunale per quelle che esulano), oppure con ricorso se l'esecuzione è già iniziata, ma da presentare al Giudice dell'esecuzione (Tribunale).
Per i vizi afferenti alla regolarità formale della cartella, la cognizione del procedimento di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. compete sempre al Tribunale.
Avverso la cartella esattoriale emessa ai fini della riscossione di sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni del codice della strada la cognizione spetta sempre al Giudice di Pace, a meno che non si tratti di opposizione agli atti esecutivi che va, invece, proposta nel termine di giorni 20 dalla notifica dinanzi al Tribunale.
La Cassazione Civile, SS.UU., con la sentenza 02/10/2015 n° 19704 ha affermato che è ammissibile l’impugnazione della cartella (e/o del ruolo) che non sia stata (validamente) notificata e della quale il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso l’estratto di ruolo rilasciato, su sua richiesta, dall'Agente della riscossione, senza che a ciò sia di ostacolo il disposto dell’ultima parte del terzo comma dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992.
Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte, intervenendo sulla nota questione della impugnabilità dell'atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato di cui all'art. 19 D.Lgs. 546/1992, ha affermato che, il contribuente può impugnare l'estratto di ruolo e la cartella di pagamento non validamente notificata, anche se ne venga a conoscenza per la prima volta mediante l’estratto di ruolo rilasciato dall'Agente della riscossione, senza dover necessariamente attendere uno specifico atto di intimazione per potersi difendere.
Ciò, sulla base della considerazione per la quale "una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 19 citato impone di ritenere che la ivi prevista impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la possibilità di far valere tale invalidità anche prima, nel doveroso rispetto del diritto del contribuente a non vedere senza motivo compresso, ritardato, reso più difficile ovvero più gravoso il proprio accesso alla tutela giurisdizionale quando ciò non sia imposto dalla stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione".
In tale pronuncia si precisa la differenza che intercorre tecnicamente tra ruolo ed estratto di ruolo con spiega che il ruolo è l’elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall’ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario ( nei ruoli sono iscritte le imposte, le sanzioni e gli interessi) mentre l’estratto di ruolo, non è un atto impugnabile poiché è solo un elaborato informatico dell’esattore sostanzialmente contenente gli elementi della cartella e quindi anche gli “elementi” del ruolo afferente a quella cartella.
Il ruolo, più precisamente, viene definito quale atto impositivo espressamente previsto e regolato dalla legge (artt. 10, lett. b), 11 e 12 D.P.R. n. 602 del 1973), anche con riferimento alla sua impugnabilità (art. 19 D.Lgs. n. 546/1992), nonché provvedimento proprio dell’ente impositore, contenente una pretesa economica che viene posta a conoscenza del contribuente con la notifica della cartella di pagamento nella quale è incorporato.
L'estratto di ruolo è, invece, definito quale elaborato informatico, atto interno formato dall'Agente della riscossione, privo di qualsivoglia pretesa impositiva, diretta e/o indiretta e, dunque, non impugnabile per mancanza di interesse del debitore.
Tuttavia, secondo la Corte di Cassazione, sebbene sia escluso al contribuente potersi opporre, per quanto sopra, “all’estratto di ruolo”, il contribuente può, al contrario, impugnare il “contenuto” del documento stesso, ossia gli atti che nell’estratto di ruolo sono indicati e riportati quando si lamenti la mancata notifica dell’atto precedente.
Il termine per proporre ricorso decorre dalla conoscenza dell’iscrizione a ruolo che, concretamente avviene con la presa visione dell’estratto di ruolo che è rilasciato dai preposti uffici del Concessionario.
Si perviene a tale conclusione in virtù di una lettura costituzionalmente orientata dell’ultima parte del terzo comma dell’art. 19 del D.Lgs. 546/1992 che impone di ritenere che, l’impugnabilità dell’atto precedente non notificato, unitamente all’atto successivo notificato, non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque legittimamente venuto a conoscenza.
Non può, infatti, escludersi che il contribuente abbia interesse a contrastare l’avanzamento del procedimento di imposizione e di riscossione il più presto possibile, ragion per cui, non può essergli negata la facoltà di far valere, appena avutane conoscenza, la invalidità della notifica della cartella di pagamento tramite l’estratto di ruolo.
Tenuto, quindi, conto dei suesposti principi sanciti dai Giudici di piazza Cavour, appare, dunque, evidente come il contribuente non dovrà più necessariamente attendere la notifica di un atto successivo per impugnare unitamente a quest’ultimo anche l’atto presupposto non notificato, ma potrà ricorrere avverso l’estratto di ruolo e impugnare tramite esso anche l’originario atto mai ricevuto.
Questo discorso deve farsi valere con riferimento anche agli avvisi di accertamento esecutivi, riconoscendo al contribuente, per effetto della pronuncia in commento, la possibilità di ricorrere contro la comunicazione del Concessionario i presa in carico del credito, che in linea generale non è impugnabile.
Va detto che il contribuente ha comunque la possibilità di approfittare dell’accesso alla “tutela anticipata”, dovendo, in tal caso, procedere a presentare ricorso entro sessanta giorni dalla stampa del documento.
Tale conclusione si deduce dalla circostanza che, ad avviso delle Sezioni Unite, benché per l’estratto di ruolo non possa parlarsi di notifica, la circostanza che si tratti di un “documento” del quale il contribuente “sia comunque legittimamente venuto a conoscenza” induce a ritenere che il termine per l’impugnazione decorra dalla data di stampa del medesimo.
Il cittadino, quindi, ha la possibilità, ove ve ne siano i presupposti, di impugnare il contenuto dell'estratto di ruolo:
– alla Commissione tributaria provinciale competente (quella che ha sede nel capoluogo di provincia del luogo dove ha sede legale l’ente creditore – se l’impugnazione ha ad oggetto vizi riconducibili all’attività dell’ente creditore – oppure quella che ha sede nel capoluogo di provincia del luogo dove ha sede legale l’agente della riscossione – se l’impugnazione ha ad oggetto vizi formali addebitabili all’attività dell’agente della riscossione) per quella parte di importo che si riferisce alle tasse ed entro il termine perentorio di sessanta giorni dal rilascio del ruolo;
– al Tribunale, sezione lavoro, competente con riferimento al luogo di residenza del cittadino, per quella parte di importo che si riferisce ai contributi previdenziali e con azione proponibile senza limiti di tempo (se l’opposizione è promossa prima del pignoramento);
– al Giudice competente per l’esecuzione (Tribunale), per quella parte di importo che si riferisce ai contributi previdenziali e con azione proponibile senza limiti di tempo (se l’opposizione è promossa dopo il pignoramento);
– al Giudice di Pace competente (quello del luogo di residenza del cittadino) per quella parte di importo relativa a “multe” stradali, con azione proponibile senza limiti di tempo (se l’opposizione è promossa prima dell’inizio del pignoramento);
– al Giudice competente per l’esecuzione (Tribunale), per quella parte di importo che si riferisce alle “multe” stradali e con azione proponibile senza limiti di tempo (se l’opposizione è promossa dopo il pignoramento).
Non si può, invece, impugnare la cartella riportata nell'estratto di ruolo per contestare vizi di forma o di contenuto della cartella di pagamento, specie se quest’ultima non sia stata impugnata e si sia resa definitiva (per esempio, la contestazione del calcolo degli interessi, la mancata indicazione del responsabile del procedimento, ecc.) perchè i vizi della cartella di pagamento possono essere sollevati solo entro 60 giorni dalla sua notifica diversamente da quelli dei successivi atti, come l’intimazione di pagamento, che possono essere sollevati anche dopo.
Deve darsi atto del contrasto , ora esistente con la sentenza resa dalla Cassazione n. 6034 del 09/03/17 secondo la quale, nel caso in cui sia accertata la notifica della cartella esattoriale, rispetto all'estratto di ruolo non vi sarebbe interesse ad agire se, non vi sia stato un comportamento del creditore idoneo a dimostrare l'intenzione di procedere ad esecuzione forzata: la Corte afferma che, piuttosto, il diritto sorgerebbe all'esito dell'esperimento di una richiesta di sgravio in via amministrativa non tenuto in considerazione , così da far presumere che vi sia l'intenzione di intraprendere nei confronti del contribuente un’ azione esecutiva in danno.
Rispetto a tale principio, il sottoscritto osserva che lo stesso non può essere condiviso posto che l'interesse ad agire per contrastare una pretesa esattoriale rispetto alle somme iscritte nei ruoli, non può essere subordinato al preventivo tentativo di ottenere lo sgravio in via amministrativa, in ragione del fatto che , alcuna previsione legislativa esiste sul punto ed in ragione del fatto che , la esistenza di una iscrizione a ruolo per una debenza ritenuta come non dovuta, giustifica la proposizione di una azione volta a contrastare qualsiasi iniziativa che potrebbe essere intrapresa dal concessionario per il recupero forzoso del credito.
Invero, la notifica dell'atto introduttivo del giudizio potrebbe indurre l'Ente creditore, valutate le motivazioni, a procedere allo sgravio prima della iscrizione a ruolo del procedimento con comunicazione al concessionario diretta a bloccare l’esecuzione.
Tra l'altro, questa affermazione appare legittima anche alla luce del documento che si trova pubblicato sul sito istituzionale della AGENZIA DELLE ENTRATE, nel quale si chiarisce che, indifferentemente, il contribuente, al fine di ottenere lo sgravio della pretesa, può agire in via stragiudiziale con un ricorso in autotutela ovvero in via giudiziale.
Al fine di individuare l’Ufficio giudiziario competente bisogna attenersi all’art. 26 c.p.c. che stabilisce: “Per l’esecuzione forzata su cose mobili o immobili è competente il giudice del luogo in cui le cose si trovano” e all’art. 27 c.p.c. che stabilisce che, per le cause di opposizione all’esecuzione forzata di cui agli artt. 615 e 619 c.pc. è competente il giudice del luogo dell’esecuzione).
Per quanto alla “vocatio in ius” del Concessionario e per esso di AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE, quale soggetto deputato alla riscossione del credito, si osserva che, nel giudizio in cui il debitore impugna gli atti della procedura di riscossione della sanzione amministrativa deducendo l’insussistenza del credito per la mancanza della preventiva notifica del provvedimento sanzionatorio, o la nullità degli atti esecutivi per la mancata notifica della cartella esattoriale o dell’avviso di mora, titolare del diritto a resistere è, sia l’ente al quale spettano i proventi sia l’esattore quale soggetto dal quale proviene l’atto oggetto dell’impugnazione in quanto viene posta in discussione, non la sussistenza della violazione, ma quella del credito fatto valere in via esecutiva nonchè la regolarità della procedura di riscossione (Cass. Civ. I Sez. Sent. 18/6/2002 n. 8759; Tribunale di Velletri sez. Lavoro sentenza 22/272018 n. 299).
Si segnala una recente pronuncia resa dalla Corte di Cassazione - Ordinanza n. 5474 del 03 marzo 2017 – con la quale diversamente da quanto sopra, la Corte ha confermato il principio per cui qualora il contribuente cita in giudizio solamente Equitalia, e per esso il Concessionario, non vi è alcun difetto di contraddittorio se non è citato anche l’Ente creditore (Agenzia delle Entrate, Inps, Comune e altri Enti Pubblici).
Precisamente, nella pronuncia si richiama l’art. 81 c.p.c. che statuisce: ”Fuori dai casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”.
Uno dei casi espressamente previsti dalla legge è, appunto, quello previsto dall’art. 39 della Legge n. 112/1999 (Chiamata in causa dell’ente creditore): “Il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite”.
Secondo la Corte, il concessionario, se subisce le conseguenze della lite nel caso di mancata chiamata in causa dell’Ente creditore, è inevitabilmente il sostituto processuale dell’Ente creditore stesso.
Solamente con la chiamata in causa dell’Ente creditore ad iniziativa propria ed esclusiva del Concessionario (senza cioè l’autorizzazione del Giudice: litis denuntiatio) verrebbero meno le conseguenze indicate nell’ultima parte dell’art. 39 sopra citato.
La Cassazione, quindi , con l’ Ordinanza n. 5474 del 03 marzo 2017, ha confermato il principio per cui la mancata chiamata in causa dell’Ente creditore, da parte del Contribuente, non è assolutamente violazione del contraddittorio.
Ritiene il sottoscritto, che, invece, poiché una pronuncia con la quale si accerti la prescrizione va ad incidere negativamente nella sfera giuridica patrimoniale del soggetto creditore, la sua vocatio in ius, appare necessaria, anche perché, rispetto ad una richiesta di sgravio, solo l’Ente creditore vi può procedere e non anche il concessionario.
In effetti, anche la Corte di Cassazione, Sez. II Civile, con l'ordinanza 8 ottobre 2018, n. 24678 ha affermato come nel giudizio di opposizione a cartella esattoriale emessa in relazione a verbale di violazione del codice della strada, ove sia dedotto il vizio di mancata notifica del verbale, la legittimazione passiva spetta, oltre all'ente impositore, anche all'esattore in qualità di litisconsorte necessario. La Corte ha aggiunto che se la cartella è annullata, l'esattore può essere chiamato a rispondere delle spese legali.
Si segnala anche questa pronuncia resa dalla Cassazione per la quale, per er quanto alla notifica della cartella esattoriale la Corte ha ritenuto che è valida ed efficace la notifica delle cartelle di pagamento per crediti tributari, effettuata ai sensi dell'art. 26, co. 1, d.P.R. n. 602 del 1973 e dell'art. 60,dD.P.R. n. 600 del 1973, con consegna al portiere dello stabile, senza successivo invio della seconda raccomandata informativa.
La richiamata disposizione, invero, nella parte in cui consente anche agli ufficiali della riscossione di provvedere alla notifica della cartella mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento, precisa che in caso di notifica al portiere la stessa si considera avvenuta nella data indicata nell'avviso di ricevimento da quest'ultimo sottoscritto, con rinvio all'art. 60, d.P.R. n. 600 del 1973, solo per quanto ivi non regolato (FONTE Massima redazionale RIFERIMENTI NORMATIVI art. 60, dpr 29/09/1973, n. 600 art. 26, dpr 29/09/1973, n. 602 Massimario.it - 38/2018).
Con riferimento ai motivi di impugnazione si evidenzia che spesso i giudizi promossi per contestare le cartelle esattoriali possono essere equiparati a dei minestroni, nei quali il contribuente inserisce ogni tipologia di eccezione.
Una opposizione, nella quale vengano inserite tutte le possibili censure, senza tener conto del fatto che non tutte possano essere decise dal giudice dinanzi al quale vengono sollevate, deve dichiararsi inammissibile.
Le cartelle di pagamento, meglio note come cartelle esattoriali, sono quello strumento del quale si avvale la Pubblica Amministrazione per recuperare i crediti vantati a vario titolo nei confronti dei contribuenti.
Più precisamente, si tratta dell'atto inviato dal concessionario incaricato della riscossione dei tributi) per comunicare l'iscrizione a ruolo del debito da parte dei diversi enti impositori, quali possono essere, ad esempio, Inps, Comuni, Agenzia delle entrate, etc..
Trascorsi sessanta giorni dalla notifica senza che avverso essa sia stato proposto ricorso, la cartella esattoriale diventa titolo esecutivo ai fini della riscossione coatta del credito.
La cartella di pagamento, come innanzi detto, può essere impugnata non solo, ovviamente, nel caso in cui essa sia viziata nella sostanza, ovverosia nel caso in cui il debito non sussista o sussista solo in parte, ma anche nel caso in cui essa sia viziata nella forma.
In quanto atto di diritto tributario, infatti, la cartella esattoriale è sottoposta a vincoli formali che devono essere rispettati a pena di nullità.
Della questione si è interessata in tempi recenti, sempre più frequentemente, la giurisprudenza, la quale ha tentato di fare chiarezza circa le ipotesi concrete nelle quali la cartella di pagamento debba ritenersi nulla.
Innanzitutto, ad esempio, la cartella esattoriale è nulla nel caso in cui sia sprovvista della relata di notifica oppure nel caso in cui questa non sia apposta correttamente o manchi di alcuni requisiti essenziali.
Con la Sentenza n. 398/2012, la suprema Corte ha stabilito la nullità della cartella esattoriale laddove, nella copia consegnata al contribuente, la relata non indichi la data della notifica.
È inoltre nulla, secondo le sentenze della Corte di cassazione n. 6749/2007 e n. 6750/2007, la cartella esattoriale in cui la relata di notifica non sia apposta in calce all'atto, ma, ad esempio, nel frontespizio.
Un'ulteriore ipotesi di nullità della cartella esattoriale deriva dal mancato computo analitico degli interessi maturati.
Secondo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 4516 del 2012, infatti, laddove, dopo giugno 2008, venga omessa l'indicazione delle modalità con cui calcolare gli interessi e l'operato dell'ufficio incaricato della riscossione possa essere ricostruito solo attraverso indagini complesse e di certo non spettanti al contribuente, la cartella esattoriale è nulla per violazione del diritto di difesa.
In tal senso si è fermamente espressa anche la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, con la sentenza n. 92/36/2012, per la quale l'atto di riscossione deve essere redatto in modo da consentire al debitore la verifica dei calcoli effettuati dal concessionario.
In sostanza, restano valide esclusivamente le cartelle che permettono al debitore di valutare agevolmente la loro esattezza.
A seguito della sentenza n. 37/2015 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato la nullità delle nomine che hanno elevato a ruolo di dirigenti i funzionari dell'Agenzia delle Entrate senza lo svolgimento di un concorso pubblico, sono da reputarsi nulle anche tutte le cartelle esattoriali sottoscritte da tali “falsi dirigenti”.
Con la pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso n. 784/15, infatti, si sono iniziate ad avvertire le prime conseguenze della sentenza di incostituzionalità e si è dichiarata la nullità di una cartella di pagamento ai fini Irap e Iva firmata, appunto, da un funzionario incaricato del ruolo di dirigente ma sprovvisto dell'effettiva qualifica.
Vera e propria inesistenza giuridica della notificazione della cartella di pagamento, infine, sarebbe generata, secondo la giurisprudenza, dall'inoltro dell'atto da parte del Concessionario senza il tramite dei soggetti a ciò legittimati, espressamente individuati dall'art. 26 del D.P.R. n. 602/1973.
Si tratta, nel dettaglio, degli ufficiali della riscossione, degli agenti di polizia municipale, dei messi comunali previa convenzione tra Comune e concessionario e degli altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge.
In tal senso si sono espresse recentemente, tra le altre, la Commissione Tributaria Provinciale di Parma con la pronuncia n. 18/2013 e la Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso con la pronuncia n. 36/2013.
Tutte le ipotesi prese in considerazione costituiscono soltanto una minima parte delle numerose pronunce emesse in materia, che rappresentano una prova evidente che la giurisprudenza relativa alla nullità delle cartelle esattoriali è in fermento.
Il motivo principale che si sta deducendo nei giudizi di opposizione è quello afferente alla prescrizione:
Se la cartella di pagamento indica che non hai pagato l’Irpef, non sono da pagare le somme che si riferiscono a più di 10 anni da quando hai ricevuto la cartella stessa. Se invece si tratta di una intimazione di pagamento, devono essere decorsi 10 anni dalla notifica della cartella.
Ci sono però molte recenti sentenze secondo cui il termine di prescrizione dell’Irpef è di 5 anni. Al momento la Cassazione non ha sposato questa tesi più favorevole al contribuente ma è verosimile che prima o poi si esprimerà sul punto. Se la cartella dice che non hai pagato l’Iva e questa si riferisce ad arretrati di più di 10 anni fa non devi pagare. Stesso discorso per l’intimazione di pagamento che si riferisce a cartelle spedite più di 10 anni fa. Anche l’imposta di bollo e di registro si prescrivono in 10 anni. Pertanto, non sono da pagare tutte le cartelle che chiedono il pagamento per arretrati di almeno 11 anni fa. Le tre imposte collegate alla casa, ossia l’Imu, la Tasi e la Tari (l’imposta sui rifiuti) sono di competenza comunale e come tutte le imposte locali cadono in prescrizione dopo cinque anni. Pertanto, se è arrivata una cartella con l’Imu di sei anni fa o una intimazione di pagamento per una cartella a titolo di Tari che ti è stata notificata oltre cinque anni fa non si è tenuti a pagare. Stesso discorso per i contributi previdenziali, quelli cioè dovuti a Inps e Inail. Anche qui la prescrizione è di cinque anni. Le multe stradali, come tutte le sanzioni amministrative, hanno un termine di prescrizione di cinque anni. Non vanno quindi pagate le cartelle notificate oltre questo termine. La tassa automobilistica si prescrive prima: solo tre anni a decorrere dal 1° gennaio dell’anno successivo alla scadenza del tributo. Questo significa che del bollo non versato nel 2017 ci si libera solo il 31 dicembre 2020.
Sempre in tema di prescrizione, invero, va detto anche che la cartella esattoriale non è titolo giudiziale ed è regolata dallo stesso termine di prescrizione del credito da essa portata. Pertanto, la prescrizione della cartella esattoriale è decennale solo qualora ci si trovi dinanzi ad una sentenza passata in giudicato (c.d. actio iudicati si veda l’art. 2953 c.c.). In tal caso il termine di prescrizione muta da quello ordinario precedente (breve – quinquennale) – previsto per il singolo tributo – in quello decennale …” (Trib. Br., Sez. Lav., sentenza 6 marzo 2014, n. 509; cfr. Trib. Br., Sez. Lav., sentenza 24 marzo 2014, n. 651).
Per di più, l’art. 2953 c.c. – che è norma speciale – non potrebbe applicarsi in via analogica ad altre fattispecie diverse dalla sentenza, con la conseguente inapplicabilità dell’art. 12 preleggi (in tal senso cfr Corte cass. SU 10.12.2009 n. 25790 cfr. Cass. civ. Sez. V, Sent., 19 luglio 2013, n. 17669. In particolare la Corte a Sezioni Unite, in materia di sanzioni amministrative, ha di recente osservato che “il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per la violazione di norme tributarie, derivante da sentenza passata in giudicato, si prescrive entro il termine di dieci anni, per diretta applicazione dell'art. 2953 cod. civ., che disciplina specificamente ed in via generale la cosiddetta "actio iudicati", mentre, se la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile vale il termine di prescrizione di cinque anni, previsto dall'art. 20 del d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, atteso che il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l'obbligazione tributaria principale e quella accessoria relativa alle sanzioni non può che essere di tipo unitario”).
I giudici della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la recentissima sentenza n. 23397 depositata in data 17.11.2016, hanno definitivamente confermato quanto sopra riportato ovvero che le pretese della Pubblica Amministrazione (Agenzia delle Entrate, Inps, Inail, Comuni, Regioni etc...) si prescrivono nel termine “breve” di cinque anni, eccetto nei casi in cui la sussistenza del credito non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato o a mezzo di decreto ingiuntivo.
Fino all’ultimo decreto, entrato in vigore il 24/10/18 , le disposizioni più favorevoli al contribuente prevedevano l’ammissione alla rateizzazione della cartella che sospendeva ogni forma di riscossione coattiva, come ad esempio il fermo amministrativo, l’ipoteca o il pignoramento.
Nel caso in cui, però, si fosse verificato il mancato pagamento di cinque rate anche non consecutive, per i piani rateali concessi dal 22 ottobre 2015, si incorreva nella decadenza dal beneficio della rateazione.
Erano previste varie forme di rateizzazione: la rateizzazione per debiti fino a 60.000 euro con piano ordinario: consentiva di rateizzare il debito (di una o più cartelle) fino a massimo 72 rate in sei anni con rate crescenti o costanti; la rateizzazione per debiti oltre 60.000 euro a piano ordinario: consentiva di rateizzare il debito (di una o più cartelle) fino a massimo 72 rate in sei anni con rate crescenti o costanti; la rateizzazione con piano straordinario: consentiva alle persone fisiche o alle aziende in particolari situazioni di difficoltà, ovvero che non riuscivano a pagare il debito mediante il piano ordinario, di accedere ad una rateizzazione fino a 120 rate per 10 anni ad importo di rata costante.
La sussistenza di crediti verso lo Stato poteva essere utile a pagare la cartella mediante compensazione, ovvero il debito poteva essere “coperto” da un credito, anche solo parzialmente.
Le compensazioni ammesse e possibili erano di due tipi:
compensazione con crediti d’imposta: le cartelle che hanno ad oggetto imposte erariali (Irpef, Ires, IVA ecc.) potevano essere compensate, in tutto o in parte con crediti derivanti sempre da imposte di tipo erariale. Tale compensazione si operava materialmente mediante il modello “F24 accise”, disponibile sul sito istituzionale sezioni: Home / Modulistica / Compensazioni;
compensazioni con i crediti della Pubblica amministrazione: in questa casistica rientravano le imprese che avevano effettuato somministrazioni, forniture e appalti a favore di una Pubblica amministrazione, le quali a fronte del credito commerciale vantato, e di cui non avevano ancora ricevuto il pagamento, potevano compensarlo con un debito rinvenente da una cartella di pagamento.
Il Consiglio dei Ministri, il 15 ottobre scorso, ha approvato un decreto-legge che introduce disposizioni urgenti in materia fiscale.
È stata approvata la così detta Pace Fiscale che introduce diverse novità al riguardo: dichiarazione sostitutiva, liti pendenti, rottamazione ter e condono con stralcio dei debiti fino a 1.000 euro.
Dei provvedimenti della Pace Fiscale ne possono beneficiare coloro che hanno presentato la dichiarazione dei redditi, con una dichiarazione integrativa, per far emergere fino ad un terzo in più delle somme già dichiarate, ma massimo per un limite di 100.000 euro per periodo di imposta, ciò è possibile fino alle dichiarazioni redditi presentate entro il 31 ottobre 2017. Verrà, in questo caso, applicata un’imposta unica “flat” del 20% sui maggiori ricavi dichiarati.
Inoltre, nella Pace fiscale è compresa anche la rottamazione ter per le cartelle esattoriali, liti pendenti, PVC e procedimenti di accertamento e “saldi e stralci” di importi a ruolo nel periodo dal 2000 al 2010 e per importi fino a 1.000.
La Rottamazione ter, che riverbera le precedenti definizioni agevolate, infatti, riprende la stessa tipologia delle precedenti: vengono condonate le sanzioni e gli interessi di mora.
Si può procedere con la rottamazione ter per quelle cartelle, i cui debiti sono stati affidati agli agenti della riscossione tra il 1° gennaio 2000 e il 31 dicembre 2017, avendo la possibilità di eseguire il pagamento fino a dieci rate, in cinque anni.
Il Decreto Fiscale prevede anche la chiusura delle liti fiscali pendenti la cui controparte è l’Agenzia delle Entrate.
La chiusura delle liti pendenti fiscali riguarderà le liti in cui il ricorso di primo grado è stato notificato entro il 30 settembre 2018 e per le quali, alla data di presentazione della domanda di pace fiscale, il processo non sia concluso con pronunzia definitiva.
Il contribuente può accedere alla pace fiscale e, quindi, chiudere la controversia pagando l’importo contestato scontato:
Metà valore della controversia in caso di soccombenza in primo grado
Un terzo del valore della lite, in caso di soccombenza in secondo grado.
Ciò in caso in cui le liti riguardano le controversie delle Commissioni Tributarie a perdere sia stata l’Agenzia delle Entrate.
Se le liti fiscali riguardano interessi di mora o sanzioni non collegate, si prevede che anche queste controversie sono ammesse alla pace fiscale con la possibilità di chiusura con il pagamento del 15% del valore della controversia, se è l’agenzia dell’entrate a soccombere.
Per tutti gli altri casi il contribuente ha la facoltà di aderire sempre alla pace fiscale ma pagare il 40% del valore della controversia.
Il pagamento di tali importi può avvenire in due modi:
In un’unica soluzione
In un massimo di 5 rati trimestrali.
Da premettere che per questa soluzione l’importo da pagare deve superare i 2.000 euro.
La novità, che introduce la Pace fiscale più importante, che molti contribuenti aspettano, riguarda lo stralcio totale dei debiti fino a 1.000 euro.
Prevede l’annullamento automatico delle cartelle di importo minore nel periodo compreso tra il 2000 e il 2010, per le cartelle relative a tributi locali non pagati, come IMU, TASI e TARI, incluse anche le multe per violazione del codice della strada.
Si prevede lo stralcio automatico di tutte le cartelle relative al periodo che va dal 2000 al 2010 di importo residuo fino a 1000 euro.
Tale decreto, che è entrato in vigore il 24/10/2018, ha indotto i giudici di Pace a rinviare le cause che hanno ad oggetto l’impugnazione delle pretese fino al 2010.
Se il Concessionario provvederà a cancellare le cartelle, si dovrà pervenire ad una pronuncia di cessazione della materia del contendere, ferma restando ogni valutazione sulla soccombenza virtuale.
Diversamente, si deciderà come per legge, sicuramente valutando il comportamento processuale del concessionario.
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