Come funziona la NASpI per i lavoratori stagionali
Dopo un primo periodo di gradualità, il nuovo meccanismo di disoccupazione è legato all’anzianità contributiva

Il decreto legislativo n. 22 del 2015, attuativo del Jobs Act (Legge delega n. 183 del 2014) ha modificato anche la tutela della disoccupazione per i lavoratori stagionali, ovvero di tutti quei lavoratori il cui svolgimento lavorativo è caratterizzato da un’alternanza di periodi di attività e di inattività. È, ad esempio, il caso degli animatori turistici che concentrano i periodi di occupazione nei mesi di alta stagione, oppure degli istruttori di sci che svolgono la loro mansione in concomitanza con l’apertura della stagione sciistica.
Prima del D. Lgs. 22/2015, la prestazione di disoccupazione (DS e ASpI) era erogata al disoccupato se erano state versate 52 settimane di contribuzione negli ultimi due anni. Ai fini della durata del sussidio di disoccupazione, inoltre, non veniva presa in considerazione la frequenza con cui il sussidio veniva richiesto.Così accadeva che, ad esempio, l’operatore turistico che lavorava sei mesi all’anno, poteva usufruire per i restanti sei mesi dell’indennità di disoccupazione. E ciò per ogni anno.
Adesso non è più così. Dopo l’introduzione della NASpI, a partire dal 1° maggio 2015, il sussidio viene erogato in base all’anzianità contributiva e il numero di contributi versati. La NASpI, infatti, prevede la corresponsione di un’indennità per un numero di settimane pari alla metà di quelle contributive presenti negli ultimi quattro anni di lavoro precedenti la disoccupazione. Cosa però essenziale è che, ai fini della durata della prestazione, non valgono le settimane contributive che sono state già computate per precedenti prestazioni di sostegno al reddito.
Riprendendo l’esempio fatto precedentemente, quindi, l’operatore turistico che lavora sei mesi all’anno tutti gli anni, non avrà più diritto a sei mesi di NASpi, ma a soli tre mesi (pari al 50% della contribuzione effettiva di sei mesi), sempre che abbia già goduto di prestazioni calcolate sulle eventuali settimane contributive versate nei tre anni precedenti.
Tale modifica dell’assetto previdenziale è stato necessario per vari motivi. Innanzitutto, il fatto che lavorando sei mesi ci si garantisse il diritto ad altri sei mesi di disoccupazione, rendeva il sussidio una sorta di "stipendio", disincentivando di fatto i lavoratori stagionali a trovare un impiego nei mesi di inattività. I dati esposti dall’Inps lo confermano: nel 2014, sugli oltre 360 mila lavoratori stagionali, sono stati 230 mila quelli che hanno ottenuto il trattamento ASpI e Mini ASpI, che in percentuale rappresentano ben il 62% del totale. A fare da contraltare è il solo 10% di lavoratori non stagionali sugli oltre 14 milioni totali che sempre nel 2014 sono stati beneficiari del sussidio.
Tale discrepanza tra contribuzione e prestazione è evidenziata anche da altri dati ed è questa un’altra ragione che ha dettato l’esigenza della riforma: sempre nel 2014, ben il 12% della spesa totale per le indennità di disoccupazione erogate erano appannaggio dei lavoratori stagionali, che rappresentavano solo il 2,5% del totale degli assicurati. Con la riforma è stato dunque raggiunto maggiore equilibrio tra contribuzione e prestazione di disoccupazione.
Prima del D. Lgs. 22/2015, la prestazione di disoccupazione (DS e ASpI) era erogata al disoccupato se erano state versate 52 settimane di contribuzione negli ultimi due anni. Ai fini della durata del sussidio di disoccupazione, inoltre, non veniva presa in considerazione la frequenza con cui il sussidio veniva richiesto.Così accadeva che, ad esempio, l’operatore turistico che lavorava sei mesi all’anno, poteva usufruire per i restanti sei mesi dell’indennità di disoccupazione. E ciò per ogni anno.
Adesso non è più così. Dopo l’introduzione della NASpI, a partire dal 1° maggio 2015, il sussidio viene erogato in base all’anzianità contributiva e il numero di contributi versati. La NASpI, infatti, prevede la corresponsione di un’indennità per un numero di settimane pari alla metà di quelle contributive presenti negli ultimi quattro anni di lavoro precedenti la disoccupazione. Cosa però essenziale è che, ai fini della durata della prestazione, non valgono le settimane contributive che sono state già computate per precedenti prestazioni di sostegno al reddito.
Riprendendo l’esempio fatto precedentemente, quindi, l’operatore turistico che lavora sei mesi all’anno tutti gli anni, non avrà più diritto a sei mesi di NASpi, ma a soli tre mesi (pari al 50% della contribuzione effettiva di sei mesi), sempre che abbia già goduto di prestazioni calcolate sulle eventuali settimane contributive versate nei tre anni precedenti.
Tale modifica dell’assetto previdenziale è stato necessario per vari motivi. Innanzitutto, il fatto che lavorando sei mesi ci si garantisse il diritto ad altri sei mesi di disoccupazione, rendeva il sussidio una sorta di "stipendio", disincentivando di fatto i lavoratori stagionali a trovare un impiego nei mesi di inattività. I dati esposti dall’Inps lo confermano: nel 2014, sugli oltre 360 mila lavoratori stagionali, sono stati 230 mila quelli che hanno ottenuto il trattamento ASpI e Mini ASpI, che in percentuale rappresentano ben il 62% del totale. A fare da contraltare è il solo 10% di lavoratori non stagionali sugli oltre 14 milioni totali che sempre nel 2014 sono stati beneficiari del sussidio.
Tale discrepanza tra contribuzione e prestazione è evidenziata anche da altri dati ed è questa un’altra ragione che ha dettato l’esigenza della riforma: sempre nel 2014, ben il 12% della spesa totale per le indennità di disoccupazione erogate erano appannaggio dei lavoratori stagionali, che rappresentavano solo il 2,5% del totale degli assicurati. Con la riforma è stato dunque raggiunto maggiore equilibrio tra contribuzione e prestazione di disoccupazione.
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